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Essere profeta non vuol dire seguire la cultura corrente, le proprie idee o cercare il consenso altrui

“ Mi piacerebbe che la chiesa fosse più profetica” ha detto don Giulio, il parroco ligure di cui si parla in questi giorni. Desiderio legittimo e condiviso dalla stragrande maggioranza dei cattolici, a cominciare dal Papa. Si tratta, però, di capire che cosa intendiamo dire con le parole “ Chiesa più profetica”. Il profeta è un uomo scelto da Dio per condurre gli uomini a Dio. Un uomo, quindi, attento a captare anche una parola appena sussurrata dall’Alto; un uomo che sa di essere stato chiamato a una vocazione che non poche volte gli farà rimpiangere la vita passata. La sua è una missione tutt’altro che facile. Dio è esigente, il popolo è testardo, i capi minacciano, la coscienza preme e teme, i segni dei tempi avanzano. I

ll profeta è cosciente che mettere insieme tutte queste realtà non sarà affatto semplice. Per questo motivo prega, geme, digiuna, piange, invoca. Si logora. Sovente implora Dio di lasciar perdere, di volgere altrove il suo sguardo. Il profeta si ritiene sempre incapace e indegno del compito che gli fu affidato. Profezia non vuol dire seguire la cultura corrente, le proprie idee o cercare il consenso altrui.

Al contrario, basta aprire la Bibbia per rendersene conto. Ci muoviamo in un campo minato, dove il falso non solo avanza ma ha la capacità di essere sempre più confuso col vero. Di falsi profeti, con stuoli di seguaci al seguito, pronti a sfidare la morte, il mondo ne ha conosciuti, eccome. La mia coscienza e il Dio in cui credo non sono entità che possono essere misurate e pesate per cui il pericolo di presentare come “ profetica” una mia opinione, anche legittima e convincente, non è del tutto peregrino.

“Profetico” per tanti nostri fratelli e sorelle, diciamo – ma solo per intenderci – più tradizionalisti, potrebbe significare non allontanarsi di un millimetro dalla dottrina di sempre, anche a costo di turarsi le orecchie di fronte ai problemi che la vita ci presenta. Per altri, sulla riva opposta, potrebbe significare mettere il megafono a quei segni dei tempi che essi ritengono, di volta in volta, più urgenti, ma abbassare il volume alla Parola di Dio e al Magistero della Chiesa fino ad annullarlo. “Profetico”, a mio modesto avviso, in un tempo come il nostro, ricco di suggestioni, opportunità, contraddizioni, potrebbe – dico potrebbe – significare, per un cristiano cattolico, avere a cuore l’ Unità della Chiesa – fino ad offrire per essa, come hanno fatto tanti santi, la propria vita – senza la quale, ogni opinione, pur legittima, lascia il tempo che trova.

Don Giulio ha detto che la decisione di non benedire le Palme era già stata presa precedentemente ma che ha voluto arricchirla di significato spiegando che “se non posso benedire le coppie gay non benedico nemmeno le palme”. Aggiungendo poi che il suo pensiero è condiviso anche da vescovi e cardinali. Come sempre, sarebbe bene ricordare che un parroco – chi scrive è parroco – è tale perché messo a custodire, alimentare, istruire nella fede una porzione del popolo di Dio dal suo vescovo, a capo della Chiesa diocesana, nel nome della quale parla, insegna, agisce. Il popolo di Dio non è una cavia sulla quale fare esperimenti e nemmeno pula alla mercè dei venti. Non è pensabile – se fossi laico mi rifiuterei di partecipare a una sola di queste celebrazioni – non è pensabile, dicevo, che una persona, un giovane, una famiglia cattolica, debbano sorbirsi le “mie” idee e le “ mie” convinzioni a Pasqua.

I cattolici che vanno in chiesa hanno il diritto – ribadisco: diritto – di sentire dal loro preteche magari ha passato una notte insonne prima di annunciare la Parola all’ Altare – che Gesù Cristo è morto ed è risorto per loro; che nessuno – nessuno, nemmeno i fratelli e le sorelle omosessuali – ha il diritto di smarrire la speranza; che una sola opera di carità vale più di tanti discorsi sulla carità. Certo, ognuno porgerà il Pane del Vangelo secondo lo stile che gli è proprio, la sua cultura biblica, patristica o attingendo dalla vita e dalle opere dei santi che più venera e ama, ma mai – mai!- allontanandosi dalla Parola di Dio e dal Magistero della Chiesa. Una Chiesa alla quale non manca né mancherà il tempo, la capacità, l’autorità di riflettere, confrontarsi, dibattere, studiare, pregare, anche, e soprattutto, su questioni delicate come quella della benedizione delle coppie omosessuali. Soprattutto non le manca lo Spirito Santo per discernere il da farsi. Per il bene di tutti.

Chiunque, anche il più ingenuo tra noi, si rende conto che non stiamo parlando di problemi di secondaria importanza, ma di qualcosa di estremamente serio trattandosi della vita delle persone e del deposito della fede. Occorre andarci piano. Banalizzare, quindi, il discorso è, sempre a mio modesto avviso, non solo deleterio ma una vera offesa a tutti, credenti e non credenti, a cominciare dagli stessi fratelli e sorelle omosessuali che si dichiarano cattolici. La fretta, gli slogans, le puntate in avanti del tutto personali, in genere, non vanno mai a favore della verità e del bene comune. Il vero profeta – penso, per restare ai tempi a noi vicini, a don Mazzolari, don Milani, don Puglisi, don Diana – il vero profeta è un martire. Egli soffre perché vede quello che altri ancora non riescono a vedere; si fa in quattro, si lacera dentro, muore, a volte anche fisicamente, ma mai – dico mai – parla e agisce contro l’Unita della Chiesa. Egli sa che prima o poi la verità trionferà. Il vero profeta, nonostante la passione che lo divora, è sereno, umile, paziente: la Chiesa non è sua, è di Gesù il quale ha affidato a Pietro – non a lui – il compito di guidarla, sostenerla, custodirla attraverso i mari agitati della storia.

Maurizio Patriciello

3 pensieri riguardo “Essere profeta non vuol dire seguire la cultura corrente, le proprie idee o cercare il consenso altrui

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  • HO SUPERATO LA TENTAZIONE DI POLEMIZZARE SU ALCUNI PUNTI DEL DICHIARATO DI DON MAURIZIO E SENZA INDUGIO PREFERISCO OSARE NELLA PROFEZIA. (una voce esigente, ma paterna, mi è giunta) E CON PAZIENZA (la pazienza non é nel tempo)… ORA MI CI AVVIO… GESÙ LO SAPEVA BENE. POCHI SAREBBERO RIUSCITI A FARE CIÒ CHE EGLI DICEVA.,TUTTAVIA QUELLA ERA LA “VERITÀ”, E LA SUA MESSA IN PRATICA POTEVA ESSERE REALIZZATA SOLO DA POCHI CHE PUR DISPONENDO DEL LIBERO ARBITRIO, SI COMPORTASSERO COME SE NON LO AVESSERO PERCHÉ AVREBBERO SCELTO SEMPRE E UNICAMENTE IL BENE…. ” CI VORRÀ SICURAMENTE ANCORA DEL” TEMPO”… MA GLI UOMINI CHE VERRANNO SI RENDERANNO CONTO CHE LA PAROLA “UNTO” É SEMPLICEMENTE RIDICOLA (SOLO UOMINI SENZA ALTE SPERANZE POTEVANO RIDURRE UN TALE MAESTOSO EVENTO MESSIANICO A SEMPLICE UNZIONE SACERDOTALE)… CHE LA PAROLA CRISTO NON É ADEGUATA… ED ECCO, DOPO TANTO TEMPO, RIAFFIORARE IL MESSIA. IL TERMINE “CRISTIANI” SARÀ SOSTITUITO DA “MESSIANI”… UNIVERSALE E MERAVIGLIOSO. LO “SPIRITO SANTO” VERRÀ RINOMINATO PIÙ GIUSTAMENTE LA “SANTA SPIRITUALITÀ”… ASPETTO FEMMINILE DELLA TRINITÀ.. COSÌ HO PROFETIZZATO… e non temo alcun martirio( che poi lo sanno tutti che il martirio copre una moltitudine di peccati… Tra cui il mio appassionato ardire profetico.. Appena manifesto)

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    • Jose Garcia

      Ora sì parliamo di profezia, quella capacità della coscienza di superare il tempo ed indicare l’effetto prima che la causa si manifesti, perché tutto accade simultaneamente in funzione di un unica verità, un unica bellezza, un unico irrefrenabile amore. È da questa condizione dell’essere che parla il profeta, non con lingua tagliente, ma con la pace imperturbabile di un bambino che non può che annunciare ciò che sa, senza secondi intenzioni o interessi.

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