cultura

I segni – un racconto di Benedetta Bindi

A me non interessa chiedervi se siete o non siete credenti, vi chiedo però se siete credibili. E’ questo che Dio chiederà un giorno a ciascuno di noi”. Don Gallo

Se non si vedono segni o prodigi, non si crede. Il nostro cuore ha sempre bisogno di nuove conferme. Quando i segni non arrivano, la fede vacilla. E se poi ci accade qualche brutta esperienza, alcuni se la prendono con Dio perché non è intervenuto a salvarli. Lui deve risolvere il nostro problema. Ma cosa ci si aspetta dal Signore?”

Me lo ripetevo con le mani serrate, in un pomeriggio d’inverno, dentro una chiesa talmente bella, intima, da purificare la mente. 

In quel luogo ho avuto una sorta di chiamata, una mano, nel momento di maggior bisogno. Io, ateo, ero entrato in quel luogo sacro per caso, o per meglio dire,  per provvidenza. Vent’anni prima. Cercavo un un posto dove bloccare la mente. Avevo combinato  tanti guai. Pensavo che il mondo fosse sbagliato, non mi mettevo mai in discussione. Fino al crollo, quando Agatha mi ha lasciato e al lavoro sono stato licenziato.

Così un giorno ho preso la macchina e ho guidato per lungo tempo, non sapendo dove andare. Poi mi sono fermato in un piccolo paesino di montagna. Senza accorgermene ero arrivato in Umbria, a Rocca Porena, dove è nata Santa Rita. Sono entrato nella chiesa posta nella piazza del paese, e ho camminato fino quasi davanti all’altare. Mi sono seduto e  ho guardato quel corpo sofferente davanti a me, per molto tempo, ore. 

Poi ho capito che ciò che riluttiamo a toccare, sembra  l’essenza stessa di cui è intessuta la nostra salvezza. Mi sono abbandonato a Lui, quel giorno e per sempre.

Per me quella chiesa di San Montano  è sacra, forse più di ogni altra. Un luogo dove starei  fermo in silenzio, fino ad addormentarmi. Invece quei pellegrini  sì muovevano da una parte all’altra della navata, fotografando, bisbigliando. Erano un gruppo di fedeli con i quali avevo scambiato due chiacchiere. Mi ero acceso una sigaretta appena arrivato, vizio che non riesco a togliermi. Fumavo e camminavo, per sgranchirmi le gambe dopo quasi tre ore di viaggio. Due di loro mi hanno  visto, e  mi hanno sorriso, come ammirassero un cerchio perfetto. Hanno attaccato discorso, ed io non ho potuto fare a meno di parlarci. Erano parecchi eccitati. Mi hanno raccontato che andavano  spesso in qualche nuovo santuario, cercando  risposte dal Signore, dai Santi, invocando il loro aiuto. Mi hanno ricordato me da bimbo: mio nonno mi viziava sempre, al luna park saltavo da uno stand all’altro, facendogli spendere una fortuna.  Volevo vincere più premi possibili, non ero mai soddisfatto. Forse pecco a dare giudizi severi, ma non riuscivo a non pormi domande, mentre ero in inginocchiato e volevo pregare: ”che fede è quella che anziché essere un atto di fiducia, sembra essere l’esatto opposto, ovvero una sfiducia che si nutre di segni?” Questo mi ripetevo guardando il crocifisso in quel luogo sacro. 

Mi è parsa la fede di quel gruppo, simile a una  fame che non viene mai sfamata. Una forma di dipendenza, come i giocatori d’azzardo che dopo aver vinto continuano a giocare, con la speranza di vincere ancora. Spesso però accade l’opposto e perdono tutto. Molti di loro mi  avevano detto di aver ricevuto una grazia, ma  ripartivano sempre  per il bisogno di andare in cerca un nuovo segno. Come se i precedenti non fossero stati sufficienti. 

Io ero andato solo per ringraziare il Signore a Rocca Porena. Mi sembrava già parecchia la grazia ricevuta. La mia conversione, vedere il mondo con occhi nuovi. Un’ora più tardi ho posto la questione al parroco del posto, mentre mi confessavo. Ci conosciamo da tempo. Mi ha risposto: ”Massimo, la sete di segni si placa quando una persona si accorge che Gesù manifesta la sua parola dentro di sé, e non fuori. Se non trovi il Signore dentro di te, non lo troverai all’esterno. Nessuno può darci la garanzia che ciò in cui crediamo nella vita corrisponda a verità. Ciò che possiamo fare è continuare a camminare forti di quella speranza che nasce dalla fiducia. Se ricevessimo troppi “segni e prodigi”, non saremmo incoraggiati a camminare, a crescere, a confrontarci con gli altri… E’ la fragilità della speranza a renderla così preziosa e umana.”.

Con queste parole in mente ho ripreso il mio viaggio, diretto verso casa. Io non ho una vita tutta rose e fiori, lotto ogni giorno, ma lo faccio con il sorriso. Ho ricevuto benedizioni alle quali nemmeno aspiravo. Mi sono anche sposato! Io troppo egoista, io troppo io. Il “noi”, non mi apparteneva. Ora mi pare di vivere solo per quello.  La fede è un intreccio di luce e tenebra, possiede abbastanza luce per sopportare il buio, abbastanza amore per tollerare la sua solitudine e le sue mortificazioni, abbastanza forza per non cercare segni. Ma quando è debole si entra in un labirinto, e si gira e rigira, come un criceto in una ruota, come quei pellegrini ansiosi, che vedevo muoversi e accendere candele. Mentre io immobile a un certo punto ho chiuso gli occhi, mi sono inginocchiato, ho lasciato ogni giudizio e ho visto solo Lui. 

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