Giovanni Allevi Maestro di Musica e Maestro di vita
Sarà che lo seguo da 20 anni e più, sarà che mi manca vederlo dal vivo e ci ho sofferto per la sua malattia per la quale ha dovuto rimandare i concerti l’anno scorso che mi hanno purtroppo rimborsato….mi ha commosso tanto.
Ho pianto tanto.
Un genio, che ha toccato il fondo, e da questo fondo …nella malattia , nel dolore….e da questo dolore ne scaturisce solo umiltà, Sacra umiltà, una Santa umiltà….
É stato così delicato che pur non nominando Dio lo ha testimoniato fortemente dalla sua croce personale. Ancora sente il dolore dei chiodi Giovanni, ancora sente viva la sofferenza ma ci dona una trasfigurazione di se stesso con una consapevolezza che, seppur pesante ,quella croce é stata la chiave per apprezzare tutto, tutto ciò che prima gli sfuggiva, anche le cose più semplici del creato come godersi un tramonto dalla sua stanza d’ospedale.
La condivisione , la compassione e l’empatia con quei fratelli che stanno portando, ognuno la sua, quella croce, per la quale vale la pena lottare, per un giorno nuovo , un giorno più bello con la consapevolezza che qui non finirà nulla… perché siamo eterni!
Onorato e grato per questa tua testimonianza ed ancor di più per rivederti in una nuova chiave , ancora più profonda, finalmente di nuovo dal vivo in a fine mese. Grazie Giovanni
di Giuseppe Dell’Aversana
Ecco la testimonianza di Giovanni Allevi a Sanremo:
«All’improvviso mi è crollato tutto. Non suono più il pianoforte davanti a un pubblico da quasi 2 anni. nel mio ultimo concerto, a Vienna, il dolore alla schiena era talmente forte che sull’applauso finale non riuscivo ad alzarmi dallo sgabello e non sapevo ancora di essere malato. Poi è arrivata la diagnosi, pesantissima, ho guardato il soffitto con la sensazione di avere la febbre a 39 per un anno consecutivo. Ho perso molto, il mio lavoro, ho perso i miei capelli, le mie certezze, ma non la speranza e la voglia di immaginare.
Era come se il dolore mi porgesse anche degli inaspettati doni, quali, vi faccio un esempio: non molto tempo fa, prima che accadesse tutto questo, durante un concerto, in un teatro pieno, ho notato una poltrona vuota. Mi sono sentito mancare. Eppure quando ero agli inizi ho fatto concerti davanti a 15-20 persone ed ero felicissimo. Oggi, dopo la malattia, non so cosa darei per suonare davanti a 15 persone. I numeri non contano. Sembra paradossale detto da qui perché ogni individuo è unico, irripetibile e a suo modo infinito.
Un altro dono: la gratitudine nei confronti della bellezza del creato. Non si contano le albe e i tramonti che ho ammirato da quelle stanza di ospedali, il rosso dell’alba è diverso dal rosso del tramonto e con le nuvolette è ancora più bello.
Un altro dono: la gratitudine e la riconoscenza per il talento dei medici, degli infermieri, di tutto il personale ospedaliero. La riconoscenza per la ricerca scientifica, senza la quale non sarei qui a parlare. La riconoscenza per il sostegno della mia famiglia. La riconoscenza per la forza, l’affetto e l’esempio che ricevo dagli altri pazienti. I guerrieri, così li chiamano, magari cerchiamo un altro termine, ma non mi viene in mente niente. Ma lo sono anche gli ausiliari e lo sono anche i genitori – piange -. I genitori dei piccoli guerrieri. Ora, come promesso, vi ho portato tutti qui con me sul palco, anime splendenti, esempio di vita autentica. Prima di andare all’ultimo dono, facciamo loro un applauso.
Ho ancora un dono. Ma quanti sono? Quando tutto crolla e resta in piedi solo l’essenziale, il giudizio che riceviamo dall’esterno non conta più. Io sono quel che sono, noi siamo quel che siamo. Eppure sento che in me c’è qualcosa che permane ed è ragionevole pensare che permarrà in eterno. Io sono quel che sono, voglio andare fino infondo a questo pensiero. Se le cose stanno così, cosa mai sarà il giudizio dell’esterno.
Voglio accettare il nuovo Giovanni. Vado? (Si toglie il berretto) Com’è liberatorio essere se stessi. Si chiama fenomeno di accentuazione cognitiva: per onorare la vostra attenzione, per dare forza e speranza alle tante persone che come me stanno ancora lottando, suonerò di nuovo il pianoforte davanti al pubblico. Attenzione però, ho due vertebre fratturate. E tremore e formicolio alle dita, nome tecnico: neuropatia. Però, però, non potendo più contare sul mio corpo, suonerò con tutta l’anima».
Giovanni Allevi
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