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I calci di rigore, ossia il diritto di sbagliare

Seguo Leo sui campi da calcio da quando ha sei anni. Ho visto tante cose belle ed alcune meno belle. Negli ultimi tempi ho visto soprattutto tirare i calci di rigore ed ho visto diversi criteri per scegliere i rigoristi (per inciso: i rigori nella mia generazione hanno un peso particolare dopo il tiro di Baggio ai mondiali USA 1994). Ho visto allenatori raggruppare la squadra intorno a sé per poi dire “tu tu tu tirate”. A volte era un “tu” chiaramente finalizzato alla vittoria: criterio di scelta, il più forte, quasi sicuramente per un ragazzo infallibile che veniva scelto ne esisteva un altro invisibile che veniva scartato. A volte era un “tu” all’insegna dell’impegno: criterio di scelta, il più generoso, il più corretto in campo. Ho visto allenatori lasciare liberi i ragazzi di scegliere tra loro i compagni del dischetto: senza contenitore, ho notato farsi avanti i più decisi a scapito dei più ritirati. E poi ho visto il nostro allenatore radunare intorno a sé tutta la squadra e dire “ragazzi facciamo così: scegliete voi i rigoristi tra chi si sente di tirare, però parlatevi, arrivate ad un accordo, fate una lista anche per le prossime partite. Io sono qui ad ascoltarvi. Chi non tira resta vicino e si abbraccia.” Sono usciti i nomi, sono arrivati i goal e sono arrivate le parate. E soprattutto è arrivata la consapevolezza che non importano i risultati, importano i tentativi.

Ho visto ragazzi liberi di sbagliare, senza paura di sbagliare, consapevoli che potevano fare bene ma anche che qualcosa poteva andare storto. Li ho visti tristi dopo un pallone calciato troppo alto in finale. Ma non li ho visti disperati. Li ho visti felici dopo un goal ma mai umilianti nei confronti dell’avversario perché il rispetto viene prima di tutto. Ho visto i compagni compatti e solidali, mai mortificanti per un fuori rete perché il valore dell’empatia ossia la capacità di mettersi nel mondo dell’altro si impara anche sui campi di calcio.

La serenità con cui i ragazzi si avvicinano al dischetto parla della loro libertà a sbagliare. Libertà che passa da noi adulti: siamo noi che dobbiamo concedere loro il diritto all’errore. Perché da ogni errore si può solo fare meglio. Perché l’errore ti obbliga alla riflessione. Perché l’errore ti concede un’altra possibilità. Perché l’errore ti fa vivere la sconfitta che potresti un domani vedere negli occhi dell’altro. Perché l’errore ricorda che conta l’impegno e non il risultato che invece dipende da mille variabili alcune non sotto il nostro controllo. Perché l’errore ci ricorda che tra l’essere ed il fare c’è sempre una bella differenza: noi siamo chiamati ad essere gente di valore anche quando sbagliamo.

E poi c’è il salto dal campo di calcio alla scuola, proprio in queste settimane di prossimità alla pagella. Rivendico a nome di tutti gli studenti il diritto di sbagliare, di conoscere l’amarezza di un 4 perché nella frustrazione di stare da ragazzi in quel 4 si impara il coraggio di superare un colloquio di lavoro andato male da adulti. Il rigore sbagliato ed il 4 in una verifica non sono mai la fine del mondo. Questo i ragazzi devono respirarlo. Altrimenti è disperazione. Nessun alibi, ci si impegna, si studiano le materie, si allenano i muscoli e poi si affrontano le sfide con la leggerezza di sapere due cose: primo, l’imprevisto esiste, secondo il fallimento è contemplato perché per mamma e papà (e per allenatore e professore) io non sarò mai un fallito.

Come cantano i Pinguini Tattici Nucleari “ci vuole coraggio ad essere Baggio”…onore a chi prova, affetto ai nostri ragazzi…per l’impegno, non per il risultato.

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