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Il “buongiorno” del campione Jannik Sinner

Si chiama zona cieca. È la parte che non pensiamo arrivi al prossimo e invece è lì che si presenta prima di noi. Grazie a lei sentiamo vibrazioni gradevoli o no di fronte a quello che vediamo, o leggiamo sui social, degli altri.

Prima del tennista Sinner, arriva la sua zona cieca. Per fortuna. Nella partita contro Djokovic non ha avuto luogo solo la sconfitta del serbo che stanotte non dormirà per niente bene. A un certo punto ha dato una palla troppo lunga a una raccattapalle che ha dovuto rincorrerla e le ha chiesto scusa. Ha aspettato Djokovic tranquillo mentre faceva i suoi trucchetti per innevosirlo. E senza minimamente scomporsi. Magari dentro era un vulcano, ma non ha dato “sazio”.

Finita la partita in cui aveva distrutto un colosso per l’ennesima volta cancellandone traccia, ha avuto la gentilezza di dire “visto che sono le 8 in Italia voglio dire buongiorno ai miei genitori”, quando gli hanno chiesto se avrebbe guardato l’altra semifinale, ha risposto “a me il tennis piace molto ma vorrei andare a cena”. E che mentre l’intervistatore gira le spalle e va via, lui lo rincorre per stringergli la mano. Berrettini ha pubblicato una storia in suo omaggio scrivendo “bravino”, ironizzando e non sapendo magari di aver involontariamente parafrasato il principe Totò che quando vide recitare Sordi la prima, stupefatto disse “è capacino…”.

Jannik è che davvero viene da chiedersi che cacchio di alieno sei. Che mentre ti si parla dai il tuo ascolto e la tua attenzione e restituisci educazione. Hai quest’aria da nerd che se lo incontri per strada non pensi possa sfasciare le statue e le leggende a colpi di racchetta. E che mentre qualcuno si venderebbe la dignità residua del fondo del barile per avere followers, tu sei involontariamente mediatico e te ne fotti altamente.

Chissà se qualcuno ti parlerà mai della zona cieca. Nel frattempo il tuo tennis risplende e come l’alba ha fatto impallidire le stelle. Specie quella che pensava di essere il numero uno e comincia a sentire una paura molto umana.

Ettore Zanca

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