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I nostri figli non sono i voti che prendono: i primi a crederci dobbiamo essere noi genitori

Rischiamo di far credere ai nostri figli che devono essere dei supereroi. Che li vogliamo sempre numeri uno. Non accettiamo nessun loro errore. Non tolleriamo le loro sconfitte. Quando queste parole – ovvero errori e sconfitte – compaiono lungo la strada della loro crescita, interveniamo subito per capire se c’è un modo con cui .- noi adulti – possiamo correggere il tiro.

Sono rimasto molto colpito nel leggere – in queste ultime settimane – notizie di vari ricorsi al TAR per contestare il voto ottenuto da uno studente all’esame di maturità. Ricorsi contro valutazioni ritenute troppo basse rispetto al merito oggettivo dello studente esaminato. E’ assai probabile che ci siano state valutazioni che in nessun modo corrispondono al valore reale dei nostri figli. E allora?

Allora ciò che davvero conta è che loro sappiano qual è il loro valore. Che loro sappiano che nella vita accade anche di essere svalutati o valutati male da persone che non si accorgono del loro reale valore. Capita ogni giorno. A qualcuno capita più spesso, ad altri meno.

Ma penso che un figlio si senta molto più protetto e al sicuro da un genitore che evita un ricorso al Tar per far riconsiderare il suo voto di maturità, piuttosto che da un genitore che intraprende una battaglia legale a tale scopo. Perché il primo genitore, quello che ti dice “Non importa, in fondo è solo un voto” è un genitore che con i fatti ti dimostra che tu non sei il voto che prendi, ma sei molto di più. E che sei amato anche quando il voto che prendi è al di sotto delle aspettative. Mentre chi battaglia per far valere i tuoi diritti, e spesso lo fa al posto tuo, ti racconta tutta un’altra storia: ovvero che non può reggere la frustrazione di non saperti all’altezza delle sue aspettative.

Perché di questo si tratta, purtroppo. Delle aspettative dell’adulto. Che un figlio, a volte, non può fare a meno di far diventare proprie. Compiendo un’operazione pericolosissima: ovvero credere di dover sempre essere come l’adulto vuole che egli sia. Questa cosa riempie di un’ansia sconfinata. Costringe, ogni volta che fai una cosa, ad immaginare quale sarà la reazione di chi verrà a sapere dell’esito della tua prova. Ci si preoccupa della delusione dell’altro, senza nemmeno più domandarsi: Ma io che cosa penso di come sono andate le cose?

Non è più “per me” che sto sulla scena della vita, ma “per te”. Non è più per me che sento lo stress associato al superamento di una prova, ma “per te”. E’ così che – quasi senza accorgercene – noi adulti diventiamo a volte inconsapevoli artefici della fatica di crescere dei nostri figli. Chi è senza peccato scagli la prima pietra. A partire da me. Se volete e potete, condividete con altri genitori.

di Alberto Pellai

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