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L’abito e il Monaco

Un prete, in costume da bagno, celebra la Messa, su un materassino gonfiabile, immerso nel mare fino alla cintola. Scoppia la polemica. Il suo vescovo lo richiama. Il prete chiede scusa. Passa qualche mese e un altro prete, don Fabio Corazzina, celebra la Messa in tuta da ciclista. Identica la polemica, analogo il rimprovero del suo vescovo che chiede scusa a nome suo.

C’è chi vede in questi preti, diciamo un po’ troppo orginali, il volto di una Chiesa giovane contro una Chiesa – quella rappresentata dai vescovi che richiamano all’ordine – obsoleta, stanca, prossima a morire e chi rimane semplicemente sconcertato.

Ancora. C’è chi si chiede: ma per pregare c’è bisogno di vestire in un certo modo e di fare uso di determinate formule? La risposta è no.

Dio è presente nella mia vita di notte e di giorno; quando mangio, quando lavoro, quando faccio la doccia. Dio lo incontro nel volto dei vecchi, dei bambini, degli ammalati, dei rifugiati, dei peccatori come me.

Con Dio parlo, ragiono, sovente litigo. Con lui mi arrabbio. Lui tormenta me ed io tormento lui. Nessuno – nemmeno la Chiesa – si è mai permesso di mettere il naso nel rapporto privato, intimo, personale tra me e il mio Dio.

Dio è l’aria che respiro, il cuore che mi scoppia in petto, il sangue che mi scorre nelle vene. La Messa – lo avete capito – è un’altra cosa.

Per un cattolico, e, a maggior ragione, per un prete, la Messa è il momento più alto del suo rapporto con Dio. Sull’Altare il prete non prega solo per se stesso, ma per il popolo presente, per gli assenti, per il mondo intero; per i vivi e per i morti. La Messa è un atto comunitario. Ogni uomo – anche il prete, quindi – ha i suoi talenti, il suo estro, la sua cultura, le sue fisime, i suoi stati d’animo, il suo modo di interpretare il mondo.

La Chiesa – madre e maestra – non può lasciare i fedeli in balia della personalità dei suoi singoli ministri. La liturgia, i paramenti sacri, i colori, l’anno liturgico, le formule della consacrazione sono un linguaggio, che non limita il mio essere prete ma tutelano il tuo essere fedele laico.

Tu, cristiano cattolico, hai il diritto di pretendere da me prete che celebri la Messa secondo le norme della Chiesa di cui sei parte integrante. E io ho il dovere di rispettare i tuoi diritti e mantenere le promesse fatte nel giorno della mia ordinazione.

Sono convinto che ogni volta che qualcuno si arroga il potere di calpestare i diritti di un altro, pur senza volerlo, ne sta violando la dignità.

Un prete non agisce a nome proprio, egli è voce e ministro della Chiesa. Fa parte di un Presbiterio, cioè di una famiglia, con a capo il Successore degli apostoli. Le cose le decidiamo insieme con umiltà e carità.

Per tentare un pallido paragone, il celebrante non è un solista, ma un musicista che suona, in mondovisione, nella più imponente e famosa delle orchestre. Egli deve fare attenzione a se stesso, allo strumento, allo spartito, al direttore cui deve obbedienza cieca. Il successo della serata sarà dato dall’armonia dell’insieme, non dalla sola bravura del singolo.

Prima di scrivere, parlare o agire, un prete dovrebbe chiedersi se le sue parole portano serenità o scompiglio in chi ascolta. I fedeli non sono un blocco monolitico, non tutti vivono la fede allo stesso modo.

Ci sono i bambini, gli ammalati, i vecchi, coloro che la vita ha messo all’angolo e che necessitano di una spinta per riprendere il cammino. Un prete ha la missione di rivolgersi a tutti.

Un giorno ero a Roma in compagnia di un mio amico, direttore della Caritas di una diocesi campana. All’improvviso, il mio confratello fu fermato dalla Polizia. Indossava, infatti, la giacca che solo i poliziotti possono indossare. L’incidente fu presto chiarito. Don Enzo – questo il suo nome – più povero dei suoi poveri, vestiva gli stessi abiti riciclati che indossano loro.

I poliziotti capirono, ci facemmo una risata, ma anche pretesero- giustamente- che fosse tolto dalla giacca lo stemma della Polizia.

A don Fabio un grande abbraccio e una domanda accompagnata da un sorriso: « Hai celebrata la Messa vestito da ciclista, dimmi: ti saresti mai messo a pedalare con addosso il camice, la stola e il piviale?».

C’è un tempo per ogni cosa, un abito per ogni circostanza. Allo stesso modo in cui sarebbe strano, in tribunale, vedere un giudice emettere una sentenza vestito da cuoco è quantomeno inutile e inopportuno celebrare la Messa vestiti da bagnini, da ciclisti o da cacciatori. La confusione non fa bene a nessuno.

Maurizio Patriciello.

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