Siamo vermi nati a formar l’angelica farfalla – Purgatorio canto 10
PURGATORIO CANTO 10 – Che cosa è l’umiltà? Qui di parla del valore dell’Arte
Entrati nel Purgatorio vero e proprio, Dante e Virgilio cominciano una faticosa salita fino alla prima cornice lungo la cui parete sono scolpiti dei bassorilievi che raffigurano l’Annunciazione, il re biblico Davide e l’imperatore Traiano. Tre esempi di umiltà.
Notiamo subito che appena la porta del Purgatorio si richiude dietro i nostri due poeti, Dante ne sente il tonfo, lo racconta ma non si volta perché ormai è deciso ad andare avanti, ha compiuto un passo importante, come noi nella vita, ma non c’è nulla di meccanico, a ogni passo ci giochiamo la nostra libertà: tutto il Purgatorio è il racconto del paziente cammino di educazione della nostra libertà.
Per continuare a salire invece serve l’umiltà, rappresentata in modo egregio da questi bassorilievi in marmo, che intarsiano completamente la parete della montagna, e che sono realizzati con tanta abilità da sembrare “vivi”.
Quindi prima di parlare dell’umiltà mandiamo a memoria l’elogio dell’Arte che Dante fa con queste terzine dove parla di una sfilata di statue che superano in bellezza non solo quelle del più grande scultore che si possa immagine (Policleto) ma addirittura il loro stesso modello, la realtà.
L’angel che venne in terra col decreto
de la molt’anni lagrimata pace,
ch’aperse il ciel del suo lungo divieto,36
dinanzi a noi pareva sì verace
quivi intagliato in un atto soave,
che non sembiava imagine che tace.
Sono così veri, così vivi, che sembra di sentirne le parole. E poi poco più avanti un’altra espressione, secondo me, ancora più efficace:
Dinanzi parea gente; e tutta quanta,
partita in sette cori, a’ due mie’ sensi
faceva dir l’un «No», l’altro «Sì, canta». 60
Similemente al fummo de li ‘ncensi
che v’era imaginato, li occhi e ‘l naso
e al sì e al no discordi fensi.
Davanti c’era della gente e tutta quanta, divisa in sette cori, induceva il mio udito a dire «Non canta», mentre la mia vista diceva «Sì, canta». In modo analogo, il fumo dell’incenso lì raffigurato rendeva discordi i miei occhi (che credevano fosse vero) e il mio naso (che non sentiva nulla).
Questi bassorilievi pare li abbia realizzati Dio in persona: l’arte è capace di cogliere il vero più che la natura stessa.
Riprendiamo il filo delle rappresentazioni dei bassorilievi: Maria, Davide, Traiano. Che cosa lega queste figure?
Leggiamo Nembrini:
“Per essere certo di farsi intendere bene Dante lo dichiara espressamente al v.98: sono “l’imagini di tante umilitadi” “L’umiltà della tua serva” del Magnificat (Lc, 1,48); “l’umile salmista” del v.65 che per glorificare Dio non esita ad abbassarsi al livello dei servi; l’umiltà di Traiano che si piega alla richiesta della vedova, la quale a sua volta non può non rimandare alla vedova evangelica che importuna il giudice disonesto finchè ottiene giustizia (Lc 18, 2-7). Sono tre immagini straordinarie di umiltà “grandiosa”. Proprio così: perché l’umiltà di Maria salva il mondo; quella di Davide ne fa un re potente; quella di Traiano ferma un esercito . A ribadire, ancora una volta, che cosa è l’umiltà: non l’autocommiserazione di chi si sottovaluta ma la lieta certezza di una persona consapevole che, attraverso il suo niente, “grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente”.
Dobbiamo obbligatoriamente anche soffermarci d’intelletto su questa terzina compresa nel racconto dell’impresa di Traiano che ci dà un altro insegnamento valido tutt’oggi.
La miserella intra tutti costoro
pareva dir: «Segnor, fammi vendetta
di mio figliuol ch’è morto, ond’io m’accoro»; 84
ed elli a lei rispondere: «Or aspetta
tanto ch’i’ torni»; e quella: «Segnor mio»,
come persona in cui dolor s’affretta, 87
«se tu non torni?»; ed ei: «Chi fia dov’io,
la ti farà»; ed ella: «L’altrui bene
a te che fia, se ‘l tuo metti in oblio?»; 90
ond’elli: «Or ti conforta; ch’ei convene
ch’i’ solva il mio dovere anzi ch’i’ mova:
giustizia vuole e pietà mi ritene».
La miserella (la vedovella del vangelo) ferma l’imperatore Traiano per chiedergli giustizia ed egli le assicura che provvederà una volta tornato ma la vedovella insiste (l’insistenza evangelica) dicendogli: e se non torni. Pronta la risposta dell’Imperatore: a renderti giustizia provvederà il mio successore. Ancor più pronta la contro risposta della vedovella che ci tramanda l’insegnamento principale del canto:
: «L’altrui bene
a te che fia, se ‘l tuo metti in oblio?»;
Come a dire: a che ti serve il bene altrui se scordi di fare il tuo? E’ per te innanzitutto, per essere giusto verso te stesso, verso il compito che ti è stato affidato che devi fare quello che ti viene chiesto. Essere giusti, buoni, pietosi non giova in primo luogo agli altri ma a se stessi. Alcune cose da fare toccano te lettore, me, non possiamo delegarle, nessuno ci può sostituire. E Traiano, vinto dalla risposta della vedovella, accetta di compiere quello che ha capito essere un suo dovere: “giustizia lo vuole e la pietà mi trattiene”.
Quindi i due Poeti incontrano le anime dei superbi.
O superbi cristian, miseri lassi,
che, de la vista de la mente infermi,
fidanza avete ne’ retrosi passi, 123
non v’accorgete voi che noi siam vermi
nati a formar l’angelica farfalla,
che vola a la giustizia sanza schermi? 126
Di che l’animo vostro in alto galla,
poi siete quasi antomata in difetto,
sì come vermo in cui formazion falla?
Noi siamo vermi ma destinati a diventare angelica farfalla. Immagine splendida. Se perdiamo di vista uno dei due termini non capiamo più niente, andiamo in confusione. Se ci scordiamo di essere vermi montiamo in superbia, non vediamo più i nostri limiti, e alla fine ci troviamo a portare pesi che ci schiacciano. Sbagliamo però anche se dimentichiamo di essere destinati a diventare meravigliose farfalle e continuiamo a cedere alla tentazione di voltarci indietro, di tornare indietro, di accontentarci di poco.
Forza, prendiamo l’angelico volo, abbiamo intrapreso questa via continuiamo a purificarci e a salire.
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