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Papa Benedetto XVI nel ricordo di Gianni Mussini

C’ero anch’io nelle varie tappe della visita di Benedetto XVI a Pavia, aprile 2007. Ricordo in particolare il clima di entusiasmo raccolto, molto pavese, nell’incontro di piazza del Duomo. Ne era visibilmente contento.

Poche settimane dopo ebbi la ventura di incontrare il Papa in Vaticano, in un incontro più ristretto con il Movimento per la vita. Per il mio ruolo dirigenziale lo potei salutare a tu per tu, parte di una numerata schiera di eletti.

Mi colpì l’attenzione autentica che dedicava a ciascuno come se, in quel momento, fosse la sola cosa che contasse al mondo.

La fila si dipanava comunque svelta perché i collaboratori del Pontefice vegliavano su ogni indugio eccessivo. Un baciamano, una parolina e via.

Arrivato il mio turno, gli dissi testualmente, forse neppure iniziando con il “Santità” di prammatica: “Abbiamo ancora negli occhi la sua visita del mese scorso a Pavia, la città di Sant’Agostino!”. Benedetto si illuminò in un sorriso davvero paradisiaco e mi rispose col suo bell’accento teutonico: “Ah Pafia [con la effe]! Abbiamo un bel ricordo di quel caro incontro”. Poi aggiunse altre parole gioiose, tanto che i collaboratori pontifici mi rivolsero sguardi complici, come se fossi un parente del Papa, o chissà quale autorità.

Il senso di quel privilegio lo compresi in pieno ascoltando l’ultimo discorso che Benedetto XVI fece da pontefice, in piazza San Pietro il 27 febbraio 2013, accomiatandosi dai fedeli e tra il resto dicendo: «Sento di portare tutti nella preghiera, in un presente che è quello di Dio, dove raccolgo ogni incontro, ogni viaggio, ogni visita pastorale».

Il presente di Dio. Era la grande saggezza del nunc (il “qui e ora”) dell’Ave Maria…

Ecco perché tutti quelli che lo incontravano si sentivano riconosciuti e amati da questo grande cristiano.

Gianni Mussini

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