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Una scelta che impegna tutte le forze dell’uomo

La parola di Dio di questa domenica sviluppa parecchi argomenti. La prima lettura ci presenta la riflessione di un sapiente di Israele sulla condizione umana e sulla sua fragilità. L’uomo da solo non è in grado di penetrare il mistero dell’universo. Da Dio soltanto egli può ricevere la sapienza necessaria per comprendere il senso dell’esistenza e per praticare il bene.

La seconda lettura ci parla di uno schiavo, Onesimo, fuggito dal suo padrone. Egli incontra Paolo, prigioniero a Roma, e si converte alla fede cristiana. Anche il suo padrone, Filémone, era cristiano e Paolo rimanda Onesimo al suo padrone con una lettera di accompagnamento. Non grida allo scandalo della schiavitù, ritenuta allora una situazione normale; ma egli evidenzia quei sentimenti di carità che portarono in quella circostanza alla liberazione di Onesimo, e porteranno poi, con la diffusione del cristianesimo, al superamento della schiavitù.

Il brano evangelico riporta le condizioni proposte da Gesù a chi vuole essere suo discepolo: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” Colpisce subito il verbo “odiare” riferito ai rapporti familiari e perfino alla propria vita. Per un ebreo questo termine, per noi così forte, significa “mettere in secondo piano”, “amare meno”. Si tratta di non anteporre nulla o nessuno a Cristo, secondo l’esigenza radicale dell’unico Signore dell’alleanza. Una nuova condizione, che sembra determinare tutte le altre e che è forse l’esigenza più alta, appare sotto la metafora di “portare la croce”. Cioè il discepolo deve essere pronto a condividere la sorte del maestro. La sentenza conclusiva (“Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”), che appare come un’applicazione riduttiva, non lo è, ma in realtà coglie un aspetto più sentito nella comunità di Luca. In sintesi si potrebbe dire: un cristiano che vorrebbe rispondere alle esigenze della sequela di Cristo dovrebbe sapere che essa esige tre immolazioni: degli affetti, della vita e dei beni. Cioè il cristiano autentico deve amare Gesù più di ogni altra persona, deve essere pronto ad affrontare la morte e deve accettare di rinunciare ai suoi averi. In altre parole: la libertà da tutti e da tutto è la condizione sine qua non per legare la propria esistenza a quella di Cristo. Si tratta di una scelta radicale che non consente ripensamenti.

Gesù lo conferma o illustra con due parabole. La prima utilizza l’immagine della costruzione di una torre di difesa. Nella seconda si tratta di un’ impresa militare in cui è in gioco non solo il prestigio del re, ma anche il destino del suo regno. Da queste due parabole, che prendono lo spunto dall’esperienza e fanno leva sul buon senso o sapienza comune, si può ricavare certe lezioni fondamentali per la nostra vita da cristiani: la costanza/perseveranza (una torre la cui costruzione non viene ultimata rappresenta un’impresa mancata; non si fanno le cose a metà: l’adesione a Cristo non può essere transitoria; ogni abbandono è tradimento), il realismo (bisogna valutare i rischi, considerare attentamente le cose e approntare i mezzi necessari per evitare il ridicolo del fallimento e per fare la propria salvezza) e l’audacia di consentire tutti i sacrifici necessari e proporzionati all’ampiezza del nostro ideale di salvezza eterna. Dobbiamo arrangiarci perché i fini producano i mezzi. Infatti, quando si tratta della salvezza eterna, la sola attrazione della meta dovrebbe essere sufficiente a creare sforzi.
Don Joseph Ndoum

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