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Considerazioni finali sul dibattito relativo al bacio sulla bocca ai bambini

Il dibattito relativo al bacio sulla bocca ai bambini si è trasformato in una sorta di battaglia senza esclusione di colpi. Sono sempre molto grato alla comunità “social” che legge le cose che scrivo anche se – lo devo ammettere – resto a volte sconcertato dalla violenza con cui dall’esprimere un pensiero su un’idea o un’affermazione su cui si può essere o non essere d’accordo si passa invece a “screditare” la persona che di quell’idea è stata portatrice con insulti di ogni genere. Anche se so che fa parte del gioco, è un gioco che ogni volta mi sconcerta perché non penso appartenga al mio stile e al modo di comunicare che da sempre utilizzo nel mio lavoro di divulgatore scientifico. Non ho l’ansia di screditare ciò che altri comunicano in modo differente da me, mentre sento forte la responsabilità di condividere “con forza” alcune idee che spero accendano pensieri nel lettore.

Sul bacio sulla bocca ai bambini sono stato molto categorico: se un genitore mi chiedesse un consiglio in tal senso, gli direi “Meglio non farlo”. Glielo direi “senza se e senza ma”. Questo non significa in alcun modo che sto valutando o giudicando il genitore che lo fa. Sto semplicemente consigliando, in base alla mia competenza e conoscenza dell’età evolutiva e della genitorialità, che cosa in “scienza e coscienza” ritengo essere la cosa migliore.

Il bacio sulla bocca ai bambini è un gesto sempre più frequente nelle nostre comunità. In me muove emozioni molto intense quando lo vedo agire su un bambino. No, non penso che sia un gesto che viene fatto con scopo sessuale, ma non posso che ribadire che Freud ha definito “orale” la prima fase dello sviluppo della sessualità infantile. Vuol dire che la “bocca” assume significati specifici rispetto a questa dimensione della vita di ciascuno di noi. Ma vorrei farvi riflettere su un’altra questione: nei miei post ho ribadito come questa indicazione fosse finalizzata anche al bisogno di definire e insegnare in modo non confusivo i confini corporei ai nostri figli. Per circa dieci anni mi sono occupato di prevenzione primaria degli abusi all’infanzia. L’ho fatto sotto molti punti di vista, promuovendo ricerche epidemiologiche, sviluppando progetti di prevenzione in ambito scolastico, lavorando con pazienti vittime di abuso sessuale. In una ricerca svolta con 3000 studenti diciottenni delle quinte classi della città di Milano, abbiamo scoperchiato il “vaso di Pandora”. Ovvero, circa uno studente su 20 (quindi uno studente in ogni classe) ha raccontato di essere stato vittima di abuso sessuale da parte di persone che conosceva bene. No, gli abusanti non erano quasi mai i genitori. Si trattava di zii, nonni, cugini, portieri del condominio, amici di famiglia, adulti conviventi dei genitori.

Volete un esempio di storia scritta da una delle vittime che per la prima volta ha raccontato la sua storia di abuso all’interno della nostra ricerca? Eccola: “Da un lato questo test arriva come una pugnalata al cuore. Far riemergere certi ricordi sepolti nella memoria non è così facile. Non che io li abbia mai cancellati, ma mai prima di oggi mi ero messa a ripensare ai dettagli di quei momenti. Dall’altra parte però è un sollievo. Voi non sapete chi io sono, e io non so chi siete voi, ma so che da oggi il mio segreto sarà un po’ meno segreto. Probabilmente vi chiederete perché non ne abbia mai parlato con nessuno.. Il problema è che non lo so bene neanch’io. Forse perché non avendo mai subìto una vera e propria penetrazione quando ero più piccola, non avevo mai creduto di essere stata vittima di un abuso; forse perché è durato solo 3 mesi e per quanto mi vergogno a dirlo non penso che la mia vita sia stata condizionata da quei giorni; non credo di essere per qs più timida o più bloccata con i ragazzi; l’unica cosa che mi è cambiata, e per sempre, è il rapporto con il compagno di mia madre. Sono infastidita quando sono sola con lui o quando mi tocca anche solo per una carezza. È stato per me difficile decidere se raccontare su qs questionario la verità, o se mentire. Sinceramente penso non si possa far niente per bloccare gli abusi; soprattutto quando avvengono nelle famiglie e per mano delle persone più impensabili. Com’è che si fa a capire chi si approfitta dei bambini, se neanche le persone che gli stanno più vicine e li amano da quando sono nati, si accorgono che hanno ricevuto delle molestie? È strano fino a 20 minuti fa ero convinta che avrei mentito e non avrei mai confessato di aver ricevuto abusi. E ora invece non riesco più a fermarmi , la penna continua a scrivere, guidata dal mio cervello, guidata dal mio cuore, che sa bene che qs sarà l’ultima volta nella quale parlerò di ciò che ho passato. Grazie quindi per lo sfogo. Grazie perché da oggi so che ci saranno persone a conoscenza di quanto ho sofferto e che, lottando perchè questo non avvenga più ad altri ragazzini, potranno così vendicare il mio dolore”. (Tratto da “Un’ombra sul cuore. L’abuso sessuale: un’epidemia silenziosa” Franco Angeli ed.).

Quando insieme ai colleghi leggemmo questo storia, scritta da una ragazza che quella mattina era andata a scuola, di cui nessuno sapeva il segreto tranne lei, ci guardammo tutti negli occhi e capimmo che c’era molto lavoro da fare all’interno della comunità educante rispetto al sostenere quelle conoscenze e quelle attitudini che permettono di promuovere la crescita dei bambini nel modo più adeguato. Ho pensato spesso a quante volte la ragazza che ha raccontato la sua storia di abuso deve essersi sentita confusa nella sua famiglia, con la sua mamma. Ma prima di tutto con se stessa. Quante volte avrebbe voluto (e dovuto dire) a sua mamma e al convivente della sua mamma “Non si fa così!” senza riuscirci? La mancanza di protezione e sicurezza da lei sperimentata in famiglia è evidente in ogni parola della sua testimonianza. I dati della nostra ricerca rimangono, in questa direzione, inequivocabili: la maggioranza delle vittime di abuso sessuale “conclamato” non aveva mai avuto il coraggio di parlarne con nessun adulto di riferimento. Nessun genitore era a conoscenza di ciò che era loro successo. I motivi: la vergogna, la paura di non essere creduti, il timore di spaventare i genitori con il proprio racconto, l’incapacità di capire se davvero quello che era loro successo fosse normale oppure no.

Quando ho scritto a voi genitori: “Fidatevi, è meglio non farlo” ho deliberatamente omesso tutte le cose che ho scoperto sul tema degli abusi sessuali ai minori. Ho parlato dell’importanza di insegnare i confini corporei e ho invitato a pensare che non sempre quello che piace a me genitore, serve a nostro figlio o gli fa bene. In questa disputa sul bacio sulla bocca ai bambini, io mi porto a casa la consapevolezza che dire le cose in un social espone ad una violenza verbale enorme, che molti usano per dissentire. Molti di voi mi hanno scritto: chi si crede di essere lei, a parlare così a noi genitori? Avete ragione, non mi credo nessuno. Sono un genitore di quattro figli, sono un professionista: nulla di più, nulla di meno. Se il mio tono vi ha infastidito e/o offeso mi scuso e me ne assumo tutte le responsabilità. Ora però verificate l’enorme violenza con cui sono state fornite risposte e reazioni. Vi chiedo in futuro di “dissentire” tanto e quanto vi piace, ma senza essere violenti. Dovremmo rifletterci su, perché siamo noi adulti poi a dover insegnare queste cose ai nostri figli con la forza non solo delle nostre parole, ma anche del nostro esempio.

Il secondo aspetto che mi ha molto colpito è la reazione di alcuni colleghi che su un singolo post hanno sentito l’urgenza di allertare il mondo fornendo informazioni e indicazioni sull’incompetenza di chi – tra cui io – aveva fornito questa informazione (ovvero il bacio sulla bocca ai bambini è sconsigliato) Sono stati fatti post e diffusi consigli per aiutare a distinguere chi è un bravo divulgatore e chi non lo è. Tutto ammissibile, ma lasciatemelo dire, al tempo stesso opinabile. Io non so se sono un bravo divulgatore. Penso però che se un collega è davvero convinto che un bacio sulla bocca sia una cosa buona per un bambino – contrariamente a quanto da me e altri affermato – la cosa migliore sia scrivere un post che dimostri con le sue parole e le sue prove ciò che afferma. Le persone leggendo il suo post, sceglieranno lui come riferimento perché lo avranno trovato più bravo, competente e scientificamente affidabile. Forse, anche tra noi colleghi, conviene imparare che il metodo migliore per sostenere il valore del nostro lavoro non è convincere gli altri dell’impreparazione di un collega. Ma essere così preparati e competenti da diventare noi stessi il riferimento con cui sempre più persone si confrontano. Grazie a tutti voi che per me rimanete stimolo costante a non dare mai nulla di scontato nel lavoro che svolgo. Mi scuso con tutti se le mie parole possono essere sembrate offensive o fuori luogo. Se le leggete bene, però, troverete nelle mie parole sempre e soltanto un giudizio relativo ad un’azione, non a chi la compie. Perché io per primo, come genitore di quattro figli, ho collezionato così tanti gesti sbagliati con loro da averne perso il conto. Ciò nonostante non mi sono mai sentito un genitore sbagliato.

Alberto Pellai

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