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In montagna, come nella vita, la vetta costa sacrificio e perseveranza


Spesso usiamo dei modi di dire come:”..quando conquisterai la vetta…” oppure “…la salita è dura ma poi dalla vetta la vista è fantastica”.In questi ultimi giorni ho sentito più volte paragonare un traguardo a una vetta o cima conquistata. Generalmente si fa riferimento solo al momento dell’arrivo in vetta o al benessere che si ha quando si è li. Ma quanti veramente sanno cosa significa “fisicamente” e “realmente” raggiungere o conquistata una vetta? Quanti lo hanno provato sul loro corpo e quanti l’hanno raggiunta tramite percorsi alternativi meno “comodi”?

Anche una stessa via può avere molteplici fattori che, un giorno possono renderla facile, mentre altri giorni possono renderla impossibile: basti pensare al meteo ad esempio.

Vi racconto una semplice salita al Monte Aquila,  come anche se fatta e rifatta molte volte può dare un certo tipo di soddisfazione. Naturalmente un escursione in montagna, affrontata seriamente, inizia già giorni prima… controllando il meteo e scegliendo il momento migliore per affrontarla.Si passa poi alla scelta del vestiario in base alla stagione, alle temperature e al meteo. E infine, non affatto meno importante, si pensa a come comporre il nostro zaino: si valuta la durata stimata dell’escursione, qualche cambio rispetto le previsioni meteo generali, un piccolo kit di emergenza, cibo e acqua anche in base al compagno di scalata. Importante è il contenimento dei pesi, visto che in montagna inevitabilmente si va dal basso verso l’alto e lo zaino gioca a favore della forza di gravità.

Io mi sono avventurato con Astrid che già una volta era salita su quella vetta. Sveglia all’alba e si parte: colazione soft in autogrill e arrivo in buon orario. L’umore in partenza è sempre buono, d’altronde il panorama che si ha attorno non può che contribuire, ma poi ci pensano i primi metri di dislivello ad intaccarlo: il cuore inizia ad accelerare i battiti, il fiato si fa grosso e le gambe si induriscono. Il primo pensiero? Si alza lo sguardo alla vetta e si pensa “Non ci arriverò mai!” ed è per questo che consiglio ad Astrid di concentrarsi sui passi, ogni metro è fondamentale se dai 2000mt vogliamo arrivare ai 2494mt. L’aria è fredda, c’è un venticello un po’ fastidioso che ci fa gocciare il naso: che scocciatura! Ma si prosegue. Dopo un primo tratto in salita si prende un sentiero traverso apparentemente piano che ci fa riprendere fiato. Passiamo su un versante riparato dal vento e il tepore del sole è piacevole, l’umore torna ad essere buono. Si inizia a sudare e viene voglia di togliere la giacca (quello che tecnicamente viene chiamato il “guscio”); lo sconsiglio ad Astrid perché a breve cambieremo versante e, a giudicare dal movimento delle nuvole molto basse, possiamo incontrare nuovamente vento.Facciamo una breve pausa in un punto panoramico strategico e la invito a togliersi lo zaino come faccio io per comodamente approfittare al meglio la sosta.

In effetti, scavallati in un altro versante, ecco il vento che si fa sentire nuovamente. Tra l’altro notiamo che vistose zone innevate coprono il sentiero stesso: sicuramente aumentano il pericolo caduta quindi procedo io prima di Astrid cosicché lei possa usare le mie impronte già create per non affondare anche lei i piedi nella neve. (Voglio evitarle la fastidiosa sensazione del ghiaccio nella scarpa con conseguente calzino bagnato).Si inizia poi a salire nuovamente fino la cresta e in questo tratto nuovamente il cuore in gola, l’umore giù e pensieri del tipo “ma chi me lo ha fatto fare?”. Contrasto questa sensazione dicendole con ottimismo che ancora pochi metri e saremo sulla cresta da dove potremo vedere anche l’altro bellissimo versante e fare una pausa. Lei non mi risponde ma continua la salita: va bene così. Piccola pausa, quello che vediamo intorno a noi é, a dir poco meraviglioso: maestoso il Gran Sasso ci osserva, il cielo è azzurro, il sole scalda e il verde del prato si alterna al bianco della neve.Di fronte a noi il sentiero in cresta si impenna nuovamente, ci facciamo coraggio e iniziamo nuovamente a camminare.In questo punto le nuvole passano da un versante all’altro molto velocemente e in pochi secondi ci troviamo con visibilità zero: preferisco che Astrid proceda davanti a me per starle vicino e non perderla di vista. Ad intermittenza vediamo il cielo azzurro tornare nuovamente grigio poi azzurro di nuovo. Appena prendiamo un po di quota usciamo dalle nuvole e la maestosità del Gran Sasso ci assorbe. Mi siedo per ammirarlo, Astrid rimane un po indietro e mi ritaglio così un momento con me stesso: lo osservo e riconosco benissimo i punti di riferimento di quel lato.

Il Sassone, la via direttissima al Corno Grande, l’inizio della via ferrata al Bivacco Bafile che con il suo colore rosso acceso domina un picco sotto la vetta centrale. La mente spazia come fanno gli occhi, ma nei cavoli miei personali pensando di tutto! Quando, continuando a salire, intercettiamo la biforcazione per il Monte Aquila, Astrid sta per gettare la spugna e non vuole più continuare. Si sente le gambe stanche per affrontare un ulteriore salita in cresta. In più il sudore si fredda da sotto lo zaino, il cappello prima dava calore ora da fastidio, metti i guanti poi togli i guanti per una foto: insomma tutto ci da fastidio! Dobbiamo fare una sosta, ci sediamo al sole e un po’ di ricarica energie ci vuole. Sinceramente noto, ma già lo sapevo, che l’ incomodo mi piace e ci godo nel sopportarlo: anche se sono stanco spingo il mio corpo ad osare di più per “raggiungere la vetta”.

Immagino che la motivazione di Astrid di raggiungere la vetta non sia forte come la mia, ma so che manca poco e rinunciare a quel punto è uno spreco.In quel momento lei avvista un camoscio (di cui il parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga ne è pieno) proprio sul profilo della cresta quindi ben visibile e fargli video zoommati e foto ci distrae e ci fa salire ancora un po.Dentro di me ringrazio il camoscio e, arrivati in cresta, Astrid mi passa avanti e cammina verso la croce della vetta del Monte Aquila (2494mt) a passo più spedito: ce l’abbiamo fatta!!! Qualche foto di rito da postare direttamente perché abbiamo connessione e poi facciamo uno spuntino. Naturalmente le gambe ci fanno male; avremo fatto in tutto circa 4km ma siamo saliti più di 400mt di dislivello totale. Che soddisfazione però!! Come per magia sparisce il sudore, l’umore è alle stelle, vorremmo videochiamare tutta la rubrica del telefono e condividere quel posto con tutti i contatti. Siamo felici. I nostri sforzi sono stati ripagati.Mi sento orgoglioso di Astrid!

Dopo una lunga sosta concentriamo le forze per la discesa (altrettanti 4 km ) che non bisogna mai sottovalutare: una disattenzione può provocare una storta o una scivolata che comporterebbe un gran disagio quindi meglio evitare e procedere con cautela. Azzarderei dire che la discesa è più difficile della salita (che è senza dubbio più faticosa) ed è in discesa che la qualità delle scarpe da montagna fanno la vera differenza! Noi, senza grandi problemi, torniamo alla macchina ricchi di un esperienza in più, stanchissimi ma felici delle avversità vinte per la nostra vetta.

In montagna, come nella vita, la vetta costa sacrificio e perseveranza; la vetta si raggiunge con istruzione e preparazione anticipata: quelli che in montagna, come nella vita, improvvisano o si avventurano senza delle basi rischiano molto! Aggiungerei infine che in montagna, come nella vita, “l’esperienza” gioca un ruolo predominante,a volte non sufficientemente considerato.

Emanuele Roncaccia

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