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Arpe di Orfeo: la nuova opera poetica di Bogdana Trivak

Recensione di Lorenzo Spurio – Nei giorni scorsi è stato pubblicato il nuovo libro di poesie dell’autrice Bogdana Trivak, Arpe di Orfeo – edito per i tipi di Tabula Fati di Chieti. La nuova opera viene pubblicata a cinque anni di distanza dalle due precedenti silloge poetiche Dal Nulla (Nuovi Poeti Ermetici Edizioni, Treviso) e Orfeo della dama (Edizioni Carrabba, Lanciano) entrambe edite nel 2016.

Bogdana Trivak, che conosco personalmente da alcuni anni avendo avuto l’occasione e il piacere di collaborare con lei in varie iniziative culturali, è un’autrice a tutto tondo dal momento che è attiva anche negli altri generi letterari, difatti oltre al libro-guida Manuale di sopravvivenza (Pescara, 2005), ha pubblicato un saggio dal titolo Ugo Foscolo e il Viaggio sentimentale (Edizioni della Fondazione Mario Luzi, Roma, 2008) nato dalla sua tesi di laurea discussa all’Università “Gabriele D’Annunzio” di Pescara, alla Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, con la professoressa Marilena Giammarco nel 2015. Tale volume – di particolare interesse per i collegamenti curiosi e innovativi adoperati dall’autrice in seno al suo studio letterario – è stato presentato a Pescara presso l’Aurum nel 2018 alla presenza del critico Dante Marianacci e della medesima professoressa che funse da relatrice in sede di laurea e a Senigallia (AN) presso il Museo del Giocattolo nel 2019 in un evento tenuto dall’Associazione Culturale Euterpe sotto il titolo “Il giovane Napoleone e Ugo Foscolo: serata letteraria” durante il quale – in maniera sincretica e parallela – si presentò anche un saggio di Valtero Curzi[1].

Bogdana Trivak, che si è rivelata vincitrice di vari concorsi letterari nel nostro Paese (tra cui il “Città di Sarzana”), nativa di Zenica (Bosnia ed Erzegovina) che vive da 30 anni sulla rotta Pescara, Italia – Pola, Croazia, è legata a doppio filo all’Italia e in particolare alla città di Pescara dove ha studiato e vissuto e dove i suoi figli sono nati. Lì ha dato vita anche all’Associazione “Ad-Adriaticum” nata con la volontà d’istituire un saldo ponte culturale tra le due sponde del mar Adriatico. Molteplici sono state nel corso del tempo le iniziative della poetessa, dettate da una sana condivisione culturale e da un europeismo convinto, che l’hanno portata a cimentarsi con culture apparentemente diverse e distanti tra loro. A dominare zone geografiche separate dal celebre mare su cui tanti intellettuali, tra cui Claudio Magris, Predrag Matvejević e il prof. Egidio Ivetic (polano come lei!) hanno dedicato attenzioni, studi e pubblicazioni, è sempre stato in Bogdana l’interesse per le comunanze e i punti di possibile raccordo per cercare d’incrementare le importanti radici socio-culturali. Significativa risulta – e non perché lo scrivente ne è in qualche modo coinvolto – la curatela della corposa antologia di poesia e narrativa breve dal titolo Adriatico. Emozioni tra parole d’onde e sentimenti, edita dall’Associazione Culturale Euterpe di Jesi nel 2017 (co-curatori il sottoscritto e Stefano Vignaroli)[2] di cui è stata una delle principali promotrici. Iniziativa antologica di rilevante preziosità per vari ordini di ragioni che vanno dalla finalità benefica, alla presenza di voci d’indiscusso prestigio dell’area balcanica (tra cui l’albanese Zija Çela, la montenegrina Desanka Jauković, il greco Sotirios Pastakas, lo sloveno Borut Vernikov Petrović, il bosniaco Božidar Stanišić e la compianta poetessa e scrittrice croata Melita Richter), sino al riconoscimento ufficiale da parte di amministrazioni locali, regionali e nazionali – italiani e straniere (compresa l’Ambasciata d’Albania a Roma) – che hanno fornito i loro segni distintivi riconoscendone il patrocinio.

Orbene, queste note bio-bibliografiche e di presentazione dell’attività letteraria della Nostra possono dirsi utili per avvicinarci alla nuova opera poetica, non prima di aver rivelato un altro aspetto che merita attenzione e che non è in nessun modo trascurabile. Bogdana non solo è poetessa, ma è la madre di due giovanissimi talenti che s’annunciano a divenire poeti. I giovani Ines e Ivan Obradović – rispettivamente di dieci e quattordici anni – hanno già vinto vari concorsi in Italia con loro poesie e riflessioni. Di Ivan, in particolare, è stato anche pubblicato un libro bilingue croato-italiano, Jadranski Arion / Arion Adriatico (The Writer, Marano, 2018) che presto si appresta a vedere una riedizione. Tutto ciò viene detto non tanto perché aggiunga meriti in campo letterario a Bogdana – che già ne ha di per sé – ma a evidenza di come la poesia, se fatta conoscere alle giovani generazioni, letta e fatta sperimentare, può divenire florida ispirazione e motivo d’interesse anche nei più piccoli. Il crescere – a qualche livello – a contatto con la poesia – che è la poesia della vita, quella reale, e non quella polverosa e confezionata propiziata dalla scuola – non solo può ingenerare un attaccamento verso la parola in quanto atto creativo e di trasposizione dell’interiorità, ma può rivelarsi uno strumento utile d’indagine e di lettura del mondo.

Tornando all’opera in questione – che è quel che veramente ci interessa – un paio di cose vanno subito dette: non è la prima volta che la Trivak intende riferirsi con una sua opera alla figura (più che al mito) di Orfeo difatti già nel 2016 a lui aveva dedicato il titolo di un’opera. Il secondo aspetto è che la prefazione di Dante Marianacci, così ben articolata, dotta, densa di riferimenti, di passaggi, di letture incrociate, si appresta per essere subito divorata con grande soddisfazione. Sebbene Marianacci nel suo testo dica in maniera molto chiara che le poesie contenute nel volume sono dotate di “versi […] di non sempre facile comprensione” (6), non si esime di ripercorrere, in un excursus assai coinvolgente, alcuni degli autori che nel tempo hanno scritto su Orfeo o, a loro modo, l’hanno reinterpretato e riscritto.

Chi è Orfeo e quale è la sua storia secondo la tradizione classica (mi riferisco a Ovidio delle Metamorfosi) è cosa nota a (quasi) tutti e che sarà facile andare a leggere per chi avrà l’interesse e l’attenzione di scoprirlo. Sul motivo per cui la Trivak, ancora dopo cinque anni, lo “recuperi” nuovamente come motivo trainante della sua poetica, che è un quesito – pure – lecito e interessante, la domanda dovrebbe essere rivolta alla stessa autrice e credo che non possa (né debba) essere inferito in maniera quanto mai azzardata dal lettore.

Si apprezza del corposo volume (poco più di duecento pagine!) l’idea di un colloquio misto di codici linguistici; la Trivak, infatti, ha deciso di presentare la sua silloge in vari idiomi: l’italiano della sua seconda “patria”, il vicino spagnolo che dona sonorità ai versi, l’inglese che permette la completa internazionalità dell’opera e l’accesso in termini di lettura a un pubblico allargatissimo e il croato nativo. Nel melting-pot di versi che, pagina dopo pagina si susseguono, è come se si assistesse a un’ipotetica riunione tra rappresentanti dei vari paesi o a una classe mista di una qualche progetto Erasmus e l’effetto che questo produce è senz’altro originale. Ciascuno potrà leggere l’opera nella propria lingua, ma anche dedicarsi a percorrerla – magari – nella lingua che “mastica” solamente o, al contrario, potrà rendersi edotto su un’altra lingua ancora che l’affascina e che vorrebbe conoscere.

Quanto ai contenuti del volume va detto che lo stile della Nostra è reso peculiare per una scelta convinta del verso breve, come pure di strutture libere lontani da schemi di qualsivoglia tipo. L’approccio è quello colloquiale anche se in taluni passaggi i versi diventano leggermente sentenziosi nel loro carattere assertivo, in altri ci si abbandona a interrogativi impossibili o che giungono spiazzando il lettore per la loro irruenza e repentinità. Molte volte si ha come l’impressione – mettendosi a leggere un testo – che ci si inserisca in un discorso già iniziato, di cui ci manca, dunque, qualche collegamento. O, al contrario, che resta volutamente aperto, in balia delle possibilità che, come un vento, possono tirare di volta in volta da qualsiasi verso. Eppure, nel fondo, vi è un’introspezione frenetica, un lavorio maldestro nell’interiorità con la voglia non solo di estrinsecare quei contenuti ma anche di renderli in una maniera stilosa e avvincente. La Trivak in questo si mostra abile cesellatrice nell’intagliare la materia, riducendo al minimo ogni orpello, ogni insignificante abbondanza. Tale processo di levigazione della parola conduce a una poesia stringata e – un po’ come sosteneva Marianacci – dai tratti enigmatici. L’enigma non sta tanto nella contorsione di forme linguistiche e nella tendenza ad a-semantizzare il testo quanto in una ben più rara evanescenza e apparente incompletezza nelle perifrasi. Eppure – tenuto conto di questo – proprio per la sua brevità e quell’intervallo tra il mistico e l’incompreso che s’ingenera, è una poetica che richiama l’attenzione del lettore. In qualche modo lo titilla e ne sollecita l’interrogazione; vengono a mente versi della poetessa calabrese Marisa Provenzano che, in quella che purtroppo fu l’ultima raccolta, riflettendo in versi sulla vita, ebbe a scrivere: “M’assale la noia dei dubbi ambigui / e la certezza di non riuscire a guardare / i mille e inutili dettagli della realtà / e allora m’arrendo a vivere il tempo, / aspettando il tramonto per bearmi dell’alba[3]. Ed è in questo contesto di dubbio e di ricerca che s’incanala il volume di liriche della Trivak dove su “fil[i] di seta / insorgono ed echeggiano” le arpe di Orfeo come annuncio di clarino e richiamo d’arpa.

Lorenzo Spurio


[1] Valtero Curzi, Il giovane imperatore. Tra lo Sturm und Drang e il Romanticismo, Intermedia, Orvieto, 2018.

[2] La stessa curatrice Trivak fu presente all’evento di presentazione del volume (una delle tante che vennero fatte sul territorio nazionale) nell’incontro che si tenne presso la Mole Vanvitelliana di Ancona nel settembre 2018.

[3] Marisa Provenzano, Kintsugi, Leonida Edizioni, Reggio Calabria, 2018.

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