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La scuola non va in vacanza

È arrivata la fine di questo anomalo anno scolastico, segnato dalla didattica a distanza.

Lo ricorderemo per le video lezioni, le chat, la piattaforma davanti alla quale, specie per chi ha più figli, si è rimasti collegati per l’intera giornata.
A noi è capitato di vivere nel migliore dei mondi possibili: le nostre suore hanno pregato per le nostre famiglie e gli insegnanti sono andati per oltre il loro lavoro, mettendoci cuore e lacrime.

Li abbiamo visti sempre presenti accanto agli alunni e hanno cercato il confronto con noi genitori. L’immagine che mi torna sempre più spesso in questi giorni è la loro commozione attraverso lo schermo, i loro occhi lucidi, nei momenti in cui le feste di fine anno sono state sostituite da uno schermo.

Ecco, dicevo, a noi è capitato di vivere nel migliore dei mondi possibili e sappiamo bene che altrove non è stato così. Ciò nonostante, l’estate ormai alle porte è all’insegna dell’incertezza e della necessità di ribadire che quella didattica a distanza, necessaria in un momento di stretta emergenza, non può e non deve sostituire la presenza, passata, come è passata, quella eccezionalità che la giustificava.

La scuola, prima struttura ad essere chiusa e l’ultima ad essere riaperta, deve tornare al centro dell’azione politica e, preso atto che così non è, spetta a noi genitori pretendere che il diritto all’istruzione dei nostri figli venga rispettato, nella stessa misura in cui lo è nel resto d’Europa.

Solo in Italia ancora non si sa con quali modalità si riprenderà a settembre.

La precarietà e l’incertezza vanno di pari passo con soluzioni adottate solo nella Cina comunista (visiere, mascherine, plexiglas tra i banchi). Già solo questo ci dovrebbe allarmare. E la stragrande maggioranza dei genitori lo sono: hanno costituito gruppi e comitati.

Non rimarremo sotto l’ombrellone accettando soluzioni pensate da chi, probabilmente, non ha mai visto un vero bambino (e forse neanche una scuola). Ecco allora che questa estate bisognerà agire, esercitando quella pressione sui mass-media e sulla politica, necessaria per giungere a soluzioni condivise con quelle stesse famiglie a cui è stato chiesto di essere scuola (e lo si è fatto) e oggi non si può più mettere in un angolo.

A questa incertezza si aggiunge l’agonia e la morte delle scuole paritarie, o meglio, di quelle a rette accessibili, aperte al cittadino medio, sostegno per chi non ce la fa, servizio reso in molti casi nel pieno rispetto del carisma dei fondatori.

La nostra scuola è una di queste. A noi non è giunta come ad altri la lettera che annuncia la chiusura. A settembre noi saremo ancora lì e, se così non fosse, significherebbe rinunciare a quella libertà di scelta educativa sancita dalla Costituzione. Noi sul territorio non avremmo alternative e il percorso didattico ed educativo verrebbe bruscamente interrotto, i nostri insegnanti non avrebbero il loro lavoro, le nostra suore non realizzerebbero a pieno il loro servizio, coerente con lo spirito della Beata Maria Schininà, nobildonna ragusana che abbandonò le proprie ricchezze per dedicarsi ai più poveri, curando l’istruzione di chi, altrimenti, sarebbe rimasto analfabeta.

Oggi no, non rischiamo di rimanere analfabeti, ma saremmo privati, senza le scuole paritarie, in particolare cattoliche, del diritto di dare ai nostri figli un percorso di crescita più ampio, più coerente con ciò che siamo, abbracciando non solo l’aspetto didattico e formativo, ma anche spirituale.

Ecco, questa incerta estate, ci vedrà in battaglia su più fronti: per tornare alla scuola in presenza liberi da presidi disumanizzanti (mascherine, visiere e plexigas), in ciò confortati dai sempre più numerosi apporti scientifici da parte di medici ospedalieri, pediatri, psicologi, psichiatri e pedagoghi; e per salvare le paritarie da morte certa.

La scuola nella sua totalità appartiene a tutti e la battaglia è comune: salvare la scuola paritaria “serve” non solo economicamente alla scuola statale, ma realizza quel pluralismo scolastico che distingue le dittature dalle democrazie. Solo nelle dittature lo Stato infatti concentra su di sé istruzione e formazione.

La scuola pubblica è formata dalla scuola di Stato e dalla scuola paritaria, con pari diritti e doveri. Qualcuno prova a separare queste due realtà e creare conflitto dividendo e contrapponendo gli interessi di cui sono portatori le scuole statali e quelli delle paritari, le famiglie e gli insegnanti, quelli di ruolo ed i precari. Non ci caschiamo. La battaglia è per la scuola. Tutta.

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