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San Giovanni Paolo II, il Papa della vita, nel ricordo di Carlo Casini

Riflessione tratta da Sì alla vita-speciale Giovanni Paolo II, aprile 2005

IL PAPA DELLA VITA
Karol era nostro padre. Padre delle nostre anime, dei nostri ideali, della nostra tenacia. Era con noi nelle nostre case, soprattutto quando venivamo tentati dal dubbio, dalla stanchezza. Parlo del Movimento per la Vita e di quanti, senza tessere o elenchi nominativi, hanno condiviso il dolore per la morte dei bimbi e l’indifferenza dei grandi.
GRAZIE, SANTO PADRE!

Quante volte gli chiedevamo di incontrarlo lui ci diceva: “venite”. Talora
fissavamo noi l’ora e il giorno, come è avvenuto il 22 maggio 1998 e il 22 maggio 2003, nel 20° e nel 25° anniversario della legge sull’aborto. Una parola – questa – censurata, da non dire mai, faticosa anche nelle comunità cristiane. Al massimo parole distratte: “vita”, “progetto”, ma non bambino ucciso. Per non vedere più la tragedia, per non trovarsi a discutere ancora e dividersi…per non trovarsi compagni di strada con questi “scomodi” “estremisti”, “fanatici” del Movimento per la vita.

Abbiamo sofferto un po’ per questa strisciante emarginazione ad opera dei nostri amici, di coloro che stimiamo e amiamo. Ma Lui ci ha sempre accolti e sempre ci ripeteva “grazie!”. Per che cosa Santo Padre? Sei Tu che ci hai insegnato, incoraggiato, sostenuto, hai avuto per noi una fiducia smisurata che ci fa ancora tremare. Egli ci disse una volta: «sono convinto che la grande influenza del Movimento per la vita nel mondo e l’enorme importanza del suo contributo dato all’umanità, sarà adeguatamente
capita solo quando la storia di queste generazioni sarà scritta» (1/3/1986,
Discorso alla Federazione internazionale del diritto alla vita). E ci ripeteva:
«Non vi spaventi la difficoltà del compito. Non vi freni la constatazione di
essere minoranza. La storia dell’Europa dimostra che non di rado i grandi salti qualitativi della sua cultura sono stati propiziati dalla testimonianza, spesso pagata con il sacrificio personale, di solitari. L’Europa di domani è nelle vostre mani. Siate degni di questo compito. Voi lavorate per restituire all’Europa la sua dignità, quella di essere luogo dove la persona, ogni persona, è affermata nella sua incomparabile dignità» (18/12/87, Convegno su “Il diritto alla vita e l’Europa”).


Parlava di noi anche in nostra assenza e a nostra insaputa ai vescovi che incontrava (13/6/86 ai Vescovi toscani, 21/5/87 alla Conferenza Episcopale Italiana) e in documenti pastorali di grande importanza (Lettera alle famiglie, 1994; Evangelium vitae, 1995), ci salutava quasi sempre nell’angelus delle annuali giornate per la vita.

Volle visitare a Firenze, il 19/10/86, il primo centro di aiuto alla vita d’Italia. Il Suo linguaggio era chiaro, senza compromessi, sempre inserito in una prospettiva grandiosa. Non ha mai chiamato “embrione” l’uomo nella fase più giovane della sua esistenza, ma “bambino non nato”. Non ha mai chiuso la sua difesa nell’ambito di una morale “soggettiva” o soltanto “cattolica”, ma l’ha posta alla base e al centro di tutta la cultura moderna e laica dei diritti umani e nella prospettiva di un rinnovamento generale della società.


Sono scolpite nella nostra memoria le Sue parole che – contro la dimenticanza dei più – collocano l’Evangelium vitae tra i grandi documenti sociali “Come un secolo fa ad essere oppressa nei suoi fondamentali diritti era la classe operaia – vi si legge al n. 5 – e la Chiesa con grande coraggio ne prese le difese, proclamando i sacrosanti diritti della persona del lavoratore, così ora, quando un’altra categoria di persone è oppressa nel diritto fondamentale alla vita, la Chiesa sente il dovere di dar voce con immutato coraggio a chi non ha voce. Il suo è sempre il grido evangelico in difesa dei poveri del mondo, di quanti sono minacciati, disprezzati e oppressi nei loro diritti mani. Ad essere calpestata nel diritto fondamentale alla vita è oggi una grande moltitudine di esseri umani deboli e indifesi, come sono, in particolare, i bambini non ancora nati”.

Insomma Karol Wojtyla con la sua enorme autorità e credibilità non solo ci ha incoraggiato, ma ci ha – in un certo modo – “autenticati”, ci ha confortato. Come un Padre, appunto.

UN ALLEATO POTENTE

Il Movimento italiano per la vita era appena nato quando Egli assunse le redini della Chiesa Universale. Il primo Centro di aiuto alla vita era sorto a Firenze nel 1975 con l’obiettivo primario di aiutare le madri a superare le difficoltà che le spingevano ad interrompere la gravidanza, ma subito
si trovò di fronte al tema angosciante e soverchiante della legge approvata nel maggio 1978 ed entrata in vigore nel giugno successivo.

Allora eravamo giovani di età e piccoli come movimento. Non posso
dimenticare le lacrime, le chitarre e i canti (“hanno ucciso i nuovi ebrei hanno ucciso i fratelli miei”) di un piccolo gruppo di ragazzi dinanzi al Senato il giorno dell’approvazione definitiva. Paolo VI aveva detto parole fermissime, aveva gridato come lui sapeva fare, perché non si arrivasse a “cambiare il delitto in diritto”. Ma eravamo in epoca in cui il terrorismo aveva raggiunto il suo acme. In quello stesso maggio il cadavere di Aldo Moro era stato lasciato in via Caetani nel pieno centro di Roma, a sfidare le istituzioni. Alla politica parve che chiudere il dibattito sull’aborto e soprattutto evitare il referendum già indetto per il giugno successivo contro il codice che vietava l’aborto, fosse atto di saggezza per impedire una situazione di contrasti e polemiche che per il terrorismo sarebbe stata ottima occasione di incrudelire ulteriormente.

In questo clima fu approvata la legge 194/78 e subito si pose il problema della rassegnazione. Ritirarsi nell’ambito dell’assistenza? Centri di aiuto alla vita, allora appena una decina, come la sola possibile risposta? Estromettere il tema del diritto alla vita dal campo della società, della politica, della democrazia.

Mi rendo ben conto della enorme quantità e gravità dei problemi che gravavano sul mondo e sulla Chiesa quando il cardinale di Cracovia fu eletto Papa. Tuttavia è un dato di fatto che Egli è stato Pontefice universale perché è stato vescovo di Roma, che Roma è la capitale d’Italia e che Egli fu eletto proprio nello stesso anno in cui in Italia fu approvata ed entrò in vigore la legge 194. Il dato banalmente cronologico esprime qualcosa di più profondo?

La legge 194 è una legge qualsiasi oppure è la spia e l’effetto di una cultura e di una situazione più importante e significante?

Il Movimento per la vita, appena nato, si trovò subito di fronte alla responsabilità di vincere la rassegnazione, coagulare le forze, pensare per tutti. Ci fu il referendum. Nei primi mesi del 1980 il partito Radicale raccolse le firme necessarie per peggiorare ulteriormente la già iniqua 194.
Tormenti, consultazioni, incontri, incertezze. Alla fine la decisione. Non ci
rassegneremo. Nel periodo più infelice, nell’estate 1980, prima che scadesse
l’ultimo termine utile (30 settembre) provammo anche noi a raccogliere le firme.

Senza giornali, senza televisione, senza denaro. Ma a fine agosto, trovammo un alleato potente: Karol Wojtyla. Ricordiamo le sue forti parole a Santa Maria di Collemaggio all’Aquila (30 agosto 1980): “Come Vicario di Colui che è la vita del mondo, alzo la mia voce in difesa di chi non ha mai avuto ne avrà voce: non si può sopprimere la vita nel seno della madre! I laici cattolici ricordano certamente l’invito dei loro vescovi ad operare per un
superamento della legge attuale, inaccettabile, con norme totalmente
rispettose del diritto alla vita”. L’accenno al referendum fu evidente. E il
Papa insistette ancora in molti incontri. Memorabile quello di Piazza del
Campo a Siena (14 settembre 1980) di cui vale la pena rileggere qualche
passaggio: “Il problema dell’affermazione della vita umana dal primo
istante del suo concepimento e, in caso di necessità, anche il problema della
difesa di questa vita, è unito in modo strettissimo con l’ordine più profondo
dell’esistenza dell’uomo come essere individuale e come essere sociale, per
il quale l’ambiente primo fondamentale non può essere che quello di
un’autentica famiglia umana. È necessario perciò l’esplicita affermazione
della vita umana fin dal primo istante del suo concepimento sotto il cuore
della madre; necessaria anche la difesa di questa vita quando essa è in
qualsiasi modo minacciata (minacciata anche socialmente), è necessaria e
indispensabile, perché in fin dei conti si tratta di quella fedeltà all’umanità
stessa, della fedeltà alla dignità dell’uomo. […] Qui di fronte a Santa
Caterina da Siena, Patrona d’Italia, presento a Dio, insieme con voi, una
fervente supplica affinché queste forze di coscienza si ritrovino e si
esprimano in mezzo a questa nazione, che sempre si è distinta per il suo
grande amore alla famiglia e al bambino. Chiedo a Dio che questa nazione
non dissipi la sua eredità fondamentale, eredità di vita ed eredità di amore
responsabile, che servendo la vita esprime se stesso di fronte a Dio e agli
uomini. Non dissipi l’Italia questa eredità, anzi la esalti in un’effettiva
promozione dell’essere umano a tutti i livelli dei suoi diritti inalienabili,
primo dei quali è e resta il diritto alla vita. Non dimentichiamo le grandi
opere di Dio”.

È commovente rileggere questo testo, particolarmente nell’ultima parte e oggi, quando in Italia è alle porte un nuovo confronto referendario, che, in definitiva, al di là dei dettagli, ha per oggetto la stessa questione epocale e planetaria, quelli della modernità e del futuro: l’uomo è sempre uomo? Il principio della eguale dignità vale davvero per tutti gli esseri umani?

Quell’estate “per la vita” del 1980, con l’aiuto del Papa, si concluse in modo
clamoroso: oltre 2300000 cittadini italiani lasciarono la loro firma autenticata. Ma il referendum poi andò come è noto. Lasciamo valutare l’accaduto dallo stesso Karol Wojtyla Quattro giorni prima del referendum, il 13 maggio, il Papa fu colpito quasi a morte in piazza San Pietro da Alì Agcà. Il 18 giorno successivo a quello in cui si era svolto il referendum nella camera del “Gemelli”, dove era stato ricoverato quasi in fin di vita, gli giunsero le notizie sul referendum. Mi domandai allora e mi sono poi chiesto tante volte, se Egli fu ferito più gravemente dall’attentato o dal voto degli italiani. Ecco come lui stesso, parlando ai cardinali di curia il 22 dicembre successivo, valutò l’accaduto: “Migliaia e migliaia di vittime innocenti sono sacrificate nel seno delle madri! Si sta purtroppo oscurando il senso della vita e di conseguenza il rispetto dell’uomo! Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. E l’avvenire ne riserverà di peggiori se non si pone rimedio. La Chiesa reagisce a questa mentalità con ogni mezzo, esponendosi e pagando di persona. Così ho fatto io, così mi sono esposto io nella scorsa primavera. E nei giorni della mia lunga sofferenza ho pensato molto al significato misterioso, al segno arcano – che mi veniva dato come dal cielo – della prova che ha messo a repentaglio la mia vita, quasi un tributo di espiazione per questo rifiuto occulto o palese della vita umana”.

“Mi sono personalmente esposto …” Ci sento l’amore di un Padre che copre i limiti e le pigrizie dei figli con dolcezza, cercando di fare Lui l’appello ad una “mobilitazione generale per costruire una nuova cultura della vita”, contenuto al n. 95 dell’Evangelium vitae, dove la “novità” auspicata è individuata anche in una “più salda e operosa convinzione da parte di tutti i cristiani”. È facile leggervi un affettuoso rimprovero: “più saldo…più operoso…”. Dunque fino ad ora non è stato fatto il massimo.

IL SEGNO ARCANO, QUASI UN TRIBUTO DI ESPIAZIONE

Ho meditato tante volte sul “segno arcano” dell’attentato del 13 maggio giungendo alla conclusione che esso esprime proprio un significato essenziale del lungo Pontificato. Oggi si ricomincia a parlare della pista bulgara, che poi conduce ai servizi segreti sovietici. Non ho mai dubitato che se Alì Agcà non era un fanatico isolato, ma un killer assoldato, i mandanti dovevano essere cercati nei vertici del Comunismo reale. Non ci vuole molto a capire che il Papa polacco era per il comunismo un rischio gravissimo. Nel 1979, dopo il primo viaggio del Papa in Polonia, era esploso il sindacato libero di Walesa, l’elettricista di Danzica, Solidarnosh. Era previsto un altro viaggio di Wojtyla. Bisognava far tacere quella voce che in nome di Cristo metteva nei popoli fremiti di libertà. Fin qui non dico
niente di originale o di nuovo. Ma pochissimi riflettono che l’attentato del 13 maggio precedette di soli quattro giorni il referendum del 17 successivo sull’aborto. La prossimità delle date è estremamente significativa. Se il mandante era un’entità ben organizzata, capace di pianificare, doveva pensare preventivamente ad ogni aspetto dell’attentato. Anche il luogo e il giorno avevano la loro importanza, quanto meno per allontanare i sospetti sul mandante.

Questo obiettivo secondario si presentava assai difficile, data la situazione polacca, dove si stava preparando il colpo di stato contro Solidarnosh (novembre 1981). Quale occasione migliore del referendum infuocato di polemiche, in cui Karol Wojtyla si era “personalmente esposto”, in una Italia in cui il terrorismo non era ancora definitivamente battuto, per attribuire la responsabilità del delitto al clima italiano e alla mano di un pazzo estremista?

L’ultimo discorso pubblico di Giovanni Paolo II prima del referendum e la folla di Piazza San Pietro: quale occasione migliore per far credere che qualcuno aveva cercato di far tacere quella voce per quanto essa proclamava riguardo all’aborto?

La folla come facile possibilità per l’attentatore di dileguarsi. Se Alì Agcà non fosse stato subito arrestato il piano sarebbe stato perfetto. Ed ecco allora un altro aspetto del “segno arcano”: il movente dell’attentato fu la ritenuta necessità di far tacere la voce che difendeva i diritti umani nel macrocosmo dei popoli, dove sono in gioco i valori della libertà e della democrazia, ma l’occasione fu determinata dalla opportunità di far credere che l’intento fosse quello di spegnere la stessa voce in quanto alzatasi a difendere il diritto alla vita nel microcosmo della famiglia. Così la forza simbolica dell’attentato è evidente. Esso lega ciò che i più vorrebbero tenere separato e che, invece, il magistero di questo straordinario Papa ha tenuto
unito. “Forse il secolo XX – egli disse il 17 febbraio 1979 – qualificherà la Chiesa come il principale baluardo della persona umana in tutto l’arco della sua vita terrena, fin dal suo concepimento”.

Tutti hanno messo a confronto le immagini iniziali del Pontificato – un Karol forte, bello, atletico, sorridente, sempre in movimento, dalla voce potente – con il Wojtyla degli ultimi anni – sempre più curvo, tremante, costretto alla immobilità, con il volto deformato ed una crescente difficoltà di articolare le parole, eppure sempre così capace di magistero, sempre così necessario a tutta l’umanità, come è dimostrato dalla folla che ha pianto il Suo lasciarci. Si può, dunque, parlare tacendo.

Nessuno, mi pare, ha notato che l’agonia del Papa è cominciata nel giorno in cui, in Florida, Terry Schiavo veniva fatta morire di fame e di sete. L’eutanasia è alle porte. La morte di Terry è l’evento più clamoroso sulle strade dell’emergente dibattito planetario per legalizzarla. Giovanni Paolo II ha mostrato il vertice di ciò che vuol dire “morire con dignità”.

LA PRIMA SFIDA

Naturalmente la coincidenza della data non è ricordata per suggerire qualcosa di miracoloso, ma solo per dimostrare quanto il Pontificato sia stato inserito nella storia di quello che Wojtyla nell’Evangelium vitae ha chiamato “congiura contro la vita”, “guerra dei potenti contro i deboli”, “minaccia frontale a tutta la cultura dei diritti dell’uomo”. Giovanni Paolo II ne ha avuto piena consapevolezza ed ha ritenuto sua specifica missione alzarsi in piedi contro la “cultura della morte”.

Lo dichiarò apertamente quasi all’inizio del suo ministero papale, parlando al Collegio cardinalizio (22/12/1980): “Di fronte al disprezzo del valore supremo della vita, per cui si giunge a convalidare la soppressione dell’essere umano nel grembo materno; di fronte alle disgregazioni in atto dell’unità familiare, unica garanzia per la promozione completa dei fanciulli e dei giovani; di fronte alla svalutazione dell’amore limpido e puro, allo sfrenato edonismo, alla diffusione della pornografia, occorre richiamare alto la santità del matrimonio, il valore della famiglia,
l’intangibilità della vita umana.

Non mi stancherò mai di adempiere questa che ritengo missione indilazionabile, profittando dei viaggi, degli incontri, delle udienze, dei messaggi a persone, istituzioni, associazioni, consultori che si preoccupano del futuro della famiglia e ne fanno oggetto di studio e di azione”. Ognuno può constatare che Giovanni Paolo II non si è “mai stancato di proclamare alto l’intangibilità della vita umana”.

Perciò è doveroso riconoscere che Karol Wojtyla è stato il Papa della vita.
“Grande”, anche per questo. Giustamente Egli è ricordato per il contributo
potente dato al crollo del comunismo, per l’impegno ecumenico, l ‘attenzione ai giovani, il dialogo con tutti, la difesa della pace, ma non è accettabile che la “congiura contro la vita” cerchi di censurare, o anche soltanto di collocare su una linea secondaria il Suo “proclamare alto l’intangibilità della vita umana”. In uno straordinario recentissimo impegnativo discorso rivolto il 10 gennaio 2005 al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede Giovanni paolo II ha guardato “con un solo colpo d’occhio, la grande scena dell’Umanità con i comuni gravi problemi che l’agitano, ma anche con le grandi e sempre vive speranze che l’animano” e si è rivolto, tramite gli ambasciatori a tutti i giovani del mondo elencando ed illustrando “le sfide dell’umanità d’oggi: la sfida della
vita, la sfida del pane, la sfida della pace, la sfida della libertà, di religione”.

Al primo posto la vita dell’uomo. Ecco le sue parole: “La prima sfida è la sfida della vita. La vita è il primo dono che Dio ci ha fatto, è la prima ricchezza di cui l’uomo può godere. La Chiesa annunzia “il Vangelo della Vita”. E lo Stato ha come suo compito primario proprio la tutela e la promozione della vita umana. La sfida della vita si va facendo in questi ultimi anni sempre più vasta e più cruciale. Essa si è venuta concentrando in particolare sull’inizio della vita umana, quando l’uomo è più debole e deve essere più protetto. Concezioni opposte si confrontano sui
temi dell’aborto, della procreazione assistita, dell’impiego di cellule staminali embrionali umane a scopi scientifici, della clonazione. La posizione della Chiesa, soggetto identico all’uomo nascituro e all’uomo nato che se ne sviluppa. Nulla pertanto è eticamente ammissibile che ne violi l’integrità e la dignità.

Ed anche una ricerca scientifica che degradi l’embrione a strumento di
laboratorio non è degna dell’uomo. La ricerca scientifica in campo
genetico va bensì incoraggiata e promossa, ma, come ogni altra attività
umana, non può mai essere esente da imperativi morali; essa può del resto
svilupparsi con promettenti prospettive di successo nel campo delle cellule
staminali adulte.

La sfida della vita ha luogo al contempo in quello che è propriamente il
sacrario della vita: la famiglia. Essa è oggi sovente minacciata da fattori
sociali e culturali che fanno pressione su di essa rendendone difficile la
stabilità; ma in alcuni Paesi essa è minacciata anche da una legislazione, che ne intacca – talvolta anche direttamente – la struttura naturale, la quale è e può essere esclusivamente quella di una unione tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio.

Non si lasci che la famiglia, fonte feconda della vita e presupposto primordiale ed imprescindibile della felicità individuale degli sposi, della formazione dei figli, e del benessere sociale, anzi della stessa prosperità materiale della nazione, venga minata da leggi dettate da una visione restrittiva ed innaturale dell’uomo. Prevalga un sentire giusto e alto e puro dell’amore umano,che nella famiglia trova una sua espressione veramente fondamentale ed esemplare. Vince in bonomalum”.

“Proclamare alto”: cioé indicare tutto lo spessore della questione, collegandola con tutti i più importanti problemi dell’uomo di oggi. Nel pensiero di Giovanni Paolo II, il tema è unico, sia che si parli di pace, che di ecologia, di poveri, di libertà, di democrazia, di solidarietà: “ancora e sempre l’uomo”. Quante volte noi del Movimento per la vita siamo stati emarginati, guardati con sospetto, ridotti al silenzio da quelli che gridano “pace” come obiettivo fondamentale della presenza cristiana nel mondo! Che dolore constatare che proprio la pace, ansia profonda del nostro cuore, viene usata come ragione di divisione e di repulsa! Ma anche su questo Papa Wojtyla ci ha confortato con la sua visione globale del tema della vita.

Il 22 maggio 2003, Egli ci ha detto: “Non può esserci pace autentica
senza rispetto della vita, specie se innocente e indifesa qual è quella dei bambini non ancora nati. Una elementare coerenza esige che chi cerca la pace difenda la vita. Nessuna azione per la pace può essere efficace se non ci si oppone con la stessa forza agli attacchi contro la vita in ogni sua fase, dal suo sorgere fino al naturale tramonto. Il vostro, pertanto, non è soltanto un movimento per la vita, ma anche un autentico movimento per la pace, proprio perché si sforza di tutelare sempre la vita”.

Giorgio La Pira, 26 anni prima, aveva espresso un identico concetto inviandoci, il 15 gennaio 1977, in occasione della prima manifestazione pubblica del Movimento un telegramma in cui affermava che “ogni impegno contro la guerra, contro le bombe atomiche, contro i razzismi, contro ogni forma di oppressione e persecuzione, riafferma con forza il valore primario dell’uomo e quindi il rispetto e la difesa dell’intera sua vita dal concepimento alla morte, perché indistruttibile e unica è ogni persona umana”. Perciò La Pira qualificò quella prima manifestazione del Movimento per la vita, come “manifestazione per la tutela del genere umano”. È noto, del resto che Madre Teresa di Calcutta, nel ricevere il Premio Nobel per la Pace affermò che “l’aborto è il principio che mette in pericolo la pace nel mondo”. Wojtyla, in quel memorabile discorso del
22 maggio 2003, ricordò quel pensiero di madre Teresa nell’atto stesso in cui la riconosceva come “Presidente spirituale dei Movimenti per la vita del mondo”.

Giovanni Paolo II è giustamente riconosciuto come il Papa dei giovani, ma non bisogna dimenticare che nel momento stesso in cui egli ha attribuito ai giovani il nome di “sentinelle del mattino” in occasione della Gmg convocata a Tor Vergata per il Grande Giubileo del 2000, egli ha anche affidato loro il compito di difendere la vita: “Difenderete la vita in ogni momento del suo sviluppo terreno”.

“Proclamare alto” significa non avere paura nel guardare fino in fondo e con coerenza le conseguenze del riconoscimento della pienezza di umanità presente fin dalla fecondazione nel concepito. Nell’ultimo libro di Karol Wojtyla, “Memoria e identità”, vi è una pagina impressionante (pag. 22): il Papa ricorda le tragedie prodotte nel secolo scorso da una vera e propria “filosofia del male”. Egli scrive:

“Se l’uomo può decidere da solo, senza Dio, ciò che è buono e ciò che è cattivo, egli può anche disporre che un gruppo di uomini debba essere annientato. Decisioni di questo genere furono prese, ad esempio nel Terzo Reich da persone che, avendo raggiunto il potere per vie democratiche, se ne servirono per porre in atto i perversi programmi dell’ideologia nazionalsocialista che si ispirava a presupposti razzisti. Analoghe decisioni furono prese dal Partito comunista in Unione sovietica e nei Paesi soggetti all’ideologia marxista […] fu perpretato lo sterminio degli Ebrei, e
anche di altri gruppi, come delle etnie Rom, dei contadini in Ucraina, del clero ortodosso e cattolico in Russia, in Bielorussia e oltre gli Urali[…]

A questo punto non si può fare a meno di toccare una questione oggi più che mai attuale e dolorosa. Dopo la caduta dei regimi costruiti sopra le ideologie del male, in quei Paesi le forme di sterminio nominate poc’anzi sono di fatto cessate. Permane tuttavia lo sterminio legale degli esseri umani concepiti e non ancora nati. E questa volta si tratta di uno
sterminio legale deciso addirittura da Parlamenti eletti democraticamente, nei quali ci si appella al progresso civile delle società e dell’intera umanità […] E’ lecito e anzi doveroso porsi la domanda se qui non operi ancora una volta una nuova ideologia del male, forse più subdola e celata che tenta di sfruttare, contro l’uomo e contro la famiglia, perfino i diritti dell’uomo”.

Attualmente il parallelo tra le uccisioni di embrioni e feti umani e tra gli stermini di massa nazisti e marxisti ha suscitato polemiche, ma il pensiero e la coerenza del Papa sono un dato di fatto. Nessuno può ignorare la profondità e l’essenzialità del pensiero di Wojtyla riguardo al diritto alla vita. Del resto anche nel Suo testamento, aperto, letto e reso pubblico dopo la Sua morte traspare quanto acutamente e dolorosamente Egli avvertisse come drammatico segno dei tempi “la strage degli innocenti”. Nella parte
scritta tra il 24 febbraio e il 1° maggio 1980 si legge: “I tempi nei quali viviamo, sono indicibilmente difficili e inquieti. Difficile e tesa è diventata anche la via della Chiesa, prova caratteristica di questi tempi – tanto per i Fedeli, quanto per i Pastori. In alcuni Paesi (come per esempio in quello di cui ho letto durante gli esercizi spirituali), la Chiesa si trova in un periodo di persecuzione tale, da non essere inferiore a quelle dei primi secoli, anzi li supera per il grado della spietatezza e dell’odio. Sanguis martyrum –
semen christianorum. E oltre a questo – tante persone scompaiono innocentemente, anche in questo Paese in cui viviamo…”.

“Il paese in cui viviamo” non può essere che l’Italia. Quali persone “scompaiono innocentemente” in Italia? L’unica possibile allusione è ai
“bambini non ancora nati” eliminati con l’aborto. Perciò il testo è ancora più impressionante della pagina ora citata del volume “Memoria e identità”, perché in quest’ultima il parallelo è proposto con gli stermini raziali, mentre nel testamento il confronto è effettuato con la persecuzione contro la Chiesa. Se la mia interpretazione è esatta nel pensiero del Papa l’aborto legale e di massa non è soltanto una discriminazione dell’uomo sull’uomo, è anche una moderna forma di persecuzione contro la Chiesa, in quanto protervo rifiuto di ascolto della sua insistente materna premura per i piccoli e i deboli, anzi quale soffocamento nel sangue dell’annuncio evangelico sulla dignità umana.

VICINO FINO ALL’ULTIMO

Ho ripercorso la vicinanza affettuosa e incoraggiante di Giovanni Paolo II.
Sottolineo però, in modo particolare alcuni passaggi dell’enciclica Evangelium vitae, il documento più organico e autorevole sulla vita nel magistero di Wojtyla. In esso i Centri di aiuto alla vita e i Movimenti per la vita sono indicati tra i “segni anticipatori” della vittoria. “Purtroppo – Egli scrive – tali segni positivi faticano spesso a manifestarsi ed essere riconosciuti, forse anche perché non trovano adeguata attenzione nei mezzi di comunicazione sociale […]

Non pochi Centri di aiuto alla vita o istituzioni analoghe sono promosse da persone e gruppi che, con ammirevole dedizione e sacrificio, offrono un sostegno materiale e morale a mamme in difficoltà, tentate di ricorrere all’aborto” (n. 26). “Di fronte a legislazioni che hanno permesso l’aborto e a tentativi, qua e là riusciti, di legalizzare l’eutanasia, sono sorti in tutto il mondo movimenti e iniziative di sensibilizzazione sociale in favore della vita.

Quando, in conformità alla loro ispirazione autentica, agiscono con determinata fermezza, ma senza ricorrere alla violenza, tali movimenti favoriscono una più diffusa presa di coscienza del valore della vita e sollecitano e realizzano un più deciso impegno per la sua difesa”. (n. 27). “A servizio della vita nascente si pongono pure i Centri di aiuto alla vita e le case e i centri di accoglienza della vita. Grazie alla loro opera, non
poche madri nubili e coppie in difficoltà ritrovano le ragioni e convinzioni e incontrano assistenza e sostegno per superare disagi e paure nell’accogliere una vita nascente o appena venuta alla luce”. (n. 88).

Ho riportato questi brani dell’enciclica Evangelium vitae, perché non mi
sembra di poco rilievo il fatto che centri e movimenti siano citati in un
documento solenne del Magistero. Sento peraltro il desiderio e il dovere di
rendere noto un ultimo gesto di particolare attenzione del Santo Padre.

Pochi giorni prima della Sua morte, il 29 marzo, mi è giunta una lettera in cui il sostituto alla Segreteria di Stato, Mons. Leonardo Sandri, ci ha fatto pervenire un dono a nome del Sommo Pontefice. Vi si dice: “Il santo Padre, mentre incoraggia a proseguire, con generosa dedizione l’impegno in favore della vita umana, accompagna il dono con la Sua speciale benedizione, che volentieri estende ai collaboratori ed a tutti i membri del Movimento”.

Ho risposto il 30 marzo, a tre giorni dalla morte del Papa, con queste parole:
“Grande è la mia gioia nel considerare che anche in mezzo alle difficoltà più
grandi e a non piccoli problemi di salute il Santo Padre si ricorda di noi! Noi
non ci dimenticheremo mai di Lui e consacriamo la nostra vita a trasformare in azioni le sue parole chiare, forti, indimenticabili, suscitatrici di energie e di entusiasmi. Mi gratifica il pensiero che Lei possa riferire al Santo Padre questo mio e nostro pensiero insieme ai sentimenti di un affetto veramente grande, accompagnato da una costante preghiera”.
Suscita particolare commozione il fatto che Giovanni Paolo II, ormai allo stremo delle forze, abbia pensato ai bambini non ancora nati minacciati di morte, alla cultura della vita, al Movimento per la vita.

La lettera pervenutaci è il Suo ultimo saluto, il Suo ultimo incoraggiamento, la Sua ultima benedizione. Il dono (25mila euro) non richiesto in alcun modo ci è pervenuto senza che noi potessimo neppure immaginarlo, per una evidente spontanea iniziativa del Santo Padre. Lo destineremo a Progetto Gemma, la nota iniziativa del Movimento che “adotta” mamme che per ragioni economiche subiscono la soverchiante tentazione dell’aborto. 160 euro al mese per diciotto mesi erogati attraverso un Centro di aiuto alla vita non risolvono problemi gravi, ma sono una “carezza” per una donna che si sente sola. “Adotta una madre, salvi il suo bambino” è lo slogan proposto a famiglie, a gruppi, a singoli, a comunità parrocchiali. Mi pare bello far sì che almeno otto bambini possano nascere perché le loro mamme, nel momento dell’angoscia e della solitudine, hanno sentito una carezza del Papa morente.

Ma più ancora ci conforta questo estremo messaggio, perché dimostra quanta stima Giovanni Paolo II abbia avuto per la linea sempre seguita dal Movimento per la vita. Egli non ci avrebbe fatto inviare quella lettera e quel dono se avesse avuto verso di noi riserve o distanze. In effetti ci aveva riconosciuto come suoi fedeli interpreti in due messaggi autografi: quello del 19/10/86, relativo ai Centri di aiuto alla vita e quello del 4 maggio 2000 che ci espresse “apprezzamento per l’opera svolta e per la linea seguita in questi anni con illuminata e generosa dedizione”. La lettera pervenuta il 29 marzo scorso è una ulteriore conferma anche di quanto Giovanni Paolo II ci disse il 22 maggio 2003 qualificandoci “una forza di rinnovamento e di speranza nella nostra società”.

LO PROMETTIAMO
Come essere all’altezza di tanta immeritata fiducia?
La voce potente che si è fatta sentire in ogni angolo del mondo, che il 13 maggio 1981 qualcuno ha tentato inutilmente di far tacere, è andata negli ultimi tempi progressivamente spegnendosi fino a divenire presenza muta, faticoso gesto della mano benedicente. Ora che Karol Wojtyla non è più fisicamente con noi qualcuno deve continuare a far sentire l’accorato appello del Papa della vita. “Urgono una generale mobilitazione delle coscienze e un comune sforzo etico per mettere in atto una grande strategia in favore della vita” egli ha scritto nell’Evangelium vitae (n. 95).

“Tutti insieme dobbiamo costruire una nuova cultura della vita”. Noi abbiamo già espresso la nostra promessa. Con tremore ed umiltà. Ma l’abbiamo ripetuta fino all’ultimo, anche per scritto. Sappiamo però che deve essere la promessa dell’intero “popolo della vita”.

Carlo Casini

leggi il ricordo di Giorgio Gibertini per Carlo Casini

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