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Riflessioni in merito all’importanza della cultura ai tempi del coronavirus

Quando, tra molti mesi, tutto questo sarà finito, con un numero di morti purtroppo di gran lunga superiore a quello che sarebbe potuto essere, allora forse varrà finalmente la pena riflettere su quel che ci è costato aver reso praticamente analfabeta funzionale una larga parte della popolazione, convincendola a non cercare mai le fonti, a non credere a nulla che sia scritto in più di tre righe o non sia espresso in un meme. Limitandola a guardare programmi su gente che rimorchia altra gente invece di leggere un libro, studiare, evolversi, essere in grado di affrontare la complessità.

Ormai ogni tre secondi c’è un appello da parte di un medico, un primario, un’anestesista, una rianimatrice, una virologa, un infettivologo, e niente, tutti nei locali a bere spritz, tutti sui treni per andare a contagiare regioni che purtroppo non avranno la stessa capacità della Lombardia di reggere il peso di quel contagio.

Ma, soprattutto, tutti qui sui social a dire che no, è tipo l’influenza, i giornali esagerano, è un virus inventato dagli Stati Uniti per colpire la Cina, è inventato dai poteri forti per liberarsi degli anziani e non pagare le pensioni (i poteri forti, è noto, sono composti da adolescenti), che comunque il virus muore a 27 gradi e basta stare al sole, che è un “gomblotto” e comunque “cioè rega’, si muore da eroi con il Chianti nel bicchiere”.

Quando, tra molti mesi, tutto questo sarà finito, forse potremmo riconsiderare il ruolo della cultura, l’importanza della cultura, dello studio, del livello di alfabetizzazione di questo paese.

Perché l’ignoranza – credo che oggi sia finalmente chiaro a tutti – è mortale.

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