Macerie dentro di noi: incontro con una famiglia terremotata
Sono passati 8 mesi, da Agosto, quando la prima scossa di terremoto ad Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto, Norcia e dintorni ha devastato paesi interi e sono passati 3 mesi da Gennaio , quando una seconda serie di scosse, definitivamente rovinose, ha azzerato le speranze di molte persone, assieme alle loro case e i loro cari. Se soltanto si nominano questi paesi, ci tornano alla mente le immagini di campanili rotti, case devastate, vigili del fuoco e protezione civile. Sembrava che l’Italia, e non solo, fosse tutta stretta attorno a quel disastro, pronta ad aiutare e a ricostruire. Magari in molti casi sarà così, soldi ne sono stati dati, si sta faticosamente ricostruendo, fornendo abitazioni provvisorie, ma non voglio ora criticare, né accodarmi alle solite, spesso giustificatissime, proteste per ritardi, malfunzionamenti ecc.
Voglio invece raccontare un incontro. Con un Gruppo di Famiglie attivo in una Parrocchia di Roma abbiamo incontrato una famiglia terremotata. Non farò qui nomi né darò riferimenti. Sono venuti a Roma il Padre, la Madre, e la Figlia, (li chiamerò così) accompagnati da un sacerdote, in missione di aiuto presso le zone terremotate. Dopo il solito video con macerie, crolli, tremolii ci aspettavamo una serie di richieste di aiuto. Ci saremmo mossi per raccogliere soldi, fare donazioni , nel modo che noi cittadini del ceto medio borghese usualmente mettiamo in atto e che ci fa sentire “brave persone”. In fondo il gesto è semplice: mano al portafoglio, donazione più o meno generosa e un bel sospiro di soddisfazione. Coscienza a posto.
Invece no, tutto fuori copione. La famiglia ha un aspetto solido, di chi è abituato a lavorare con la terra e con gli animali. Hanno lo sguardo malinconico, non spento, ma smarrito. Mentre la madre ci racconta di aver perso metà della sua vita sotto le macerie ( morte di un figlio maschio, e di entrambi i suoceri), il dolore mai sopito irrompe e la famiglia non parla più. Ed ecco che davanti a noi si materializza il terremoto, non quello che abbiamo visto dietro gli schermi TV, magari sul nostro divano, ma quello vero, la sofferenza incarnata in questa famiglia. Non personaggi fasulli di reality, ma tre persone che hanno sofferto e soffrono quanto molti di noi non sperimenteranno in una vita. Ci crollano le certezze di aver fatto il possibile, magari con una bella raccolta economica o con una preghiera. Il sacerdote parla al loro posto e ci racconta che oltre ai loro cari hanno perso la loro casa , gli animali che costituivano il loro lavoro e che non posseggono più nulla. Nulla.
I genitori dicono che stanno cercando di non affogare per la loro figlia, salvata dopo ore sotto le macerie. Impressionante per noi che non chiedano nulla. Non hanno nulla e non chiedono nulla. Vogliono solo stare insieme, mantenere la loro unica ricchezza , cioè la “piccola famiglia che ci è rimasta ” come la definiscono loro stessi. Condividono con noi la loro sofferenza, le loro macerie interiori che non saranno mai sanate. Però mostrano desiderio di solidarietà umana, di non sentirsi soli e senza futuro.
Siamo in imbarazzo, davanti a loro, non abbiamo risposte o bacchette magiche. La loro sofferenza è la nostra paura solo ad immedesimarci nella situazione. Noi genitori ci sentiamo il cuore a pezzi per quella coppia di genitori che piangono in silenzio il figlio adolescente con la dignità della disperazione vera, per quella giovane figlia non ancora maggiorenne, salva per miracolo e per il suo coraggio. Non ci raccontano particolari sulla loro vita in roulotte, sul freddo e i disagi. Sono lì, come testimoni veri della sofferenza umana. Ci sentiamo impotenti, proponiamo soluzioni, una borsa di studio per la giovane, chiediamo cosa vorrebbero per ricominciare e le richieste sono semplici. Possibilità di lavorare, una vita che ricominci nella quotidianità che spesso chiamiamo noia o routine, ma che ci rafforza sicurezze e abitudini preziose e non scontate.
Ma non voglio fare melodramma, né un reality scritto. Voglio condividere un pensiero con i lettori di questo breve articolo: cerchiamo nuove catene di amicizia vera, creiamo solidarietà umane, non bastano solo i soldi, non comprano affetto. Se abbiamo possibilità andiamo sul posto, non a fare selfie o a fare foto sulle macerie, ma a parlare con le persone- ne hanno un gran bisogno- e magari acquistiamo qualcosa sul posto, andiamo nei ristoranti e nei negozi riaperti. Non evitiamo la sofferenza altrui quando ci viene mostrata, lasciamoci scuotere da questo terremoto interiore e valutiamo nuovamente la nostra vita. Queste persone che abbiamo incontrato, che ci hanno mostrato senza veli il loro animo ferito, come fece Gesù in croce, ci hanno dimostrato che l’amore e l’amicizia possono contribuire a ricostruire le macerie del cuore ..