U2: quarant’anni suonati in nome dell’amore!
Era il 25 settembre del 1976, quando un giovanissimo adolescente appassionato di percussioni, Larry Mullen Jr, affisse un volantino nella bacheca della Mount Temple School di Dublino, in cui esprimeva il desiderio di fondare un gruppo rock. Dava appuntamento per il sabato successivo a casa sua a chiunque fosse interessato all’iniziativa.
A quell’appuntamento si presentarono due fratelli, Dave e Dik Evans, entrambi appassionati di chitarra (tanto che se ne costruirono una), un giovanotto stralunato, proveniente da una famiglia inglese trasferitasi in Irlanda, Adam Clayton, e un altro ragazzo piuttosto inquieto, che da poco aveva perso sua madre: Paul Hewson. A quell’appuntamento ebbero la possibilità di conoscersi, e nel frattempo di provare a suonare qualcosa insieme, puntando soprattutto su qualche improbabile cover, che andava da Jumpin’ Jack Flash dei Rolling Stones a Suffragette City di David Bowie, passando da Show me the way di Peter Frampton.
Era l’epoca in cui stava scoppiando la furia iconoclasta e devastatrice del punk rock, e dischi come l’omonimo esordio dei Ramones, Horses di Patti Smith, molti degli album di David Bowie, stavano letteralmente mandando in frantumi il cervello di moltissimi ragazzi. I concerti dei Clash, dei Buzzcocks e dei Sex Pistols stavano letteralmente infiammando una generazione che non credeva più alle utopie di fine anni ’60, ma voleva trascinare tutto in un mare fatto di ribellione e rabbia.
Questi cinque ragazzi irlandesi erano affascinati da quanto stava succedendo nell’aria, ma nello stesso tempo non erano disinteressati anche ad altre forme di musica che il punk voelva spazzare via. E come nome per la propria band scelsero “Feedback”, ispirandosi proprio al tipo di effetto sonoro che produce la chitarra elettrica.
I loro primi spettacoli prevedevano perlopiù delle cover, e avvenivano di solito a scuola (dove peraltro avevano gli spazi per provare), il sabato pomeriggio. Ma col tempo cominciarono a pensare che il “giochino” sarebbe potuta diventare una grande opportunità, e quindi bisognava guardare al gruppo con una coscienza ben differente. Fu così che si decise di restare in quattro, e quindi Dik, il fratello di Dave, fu invitato a lasciare la band, che nel frattempo aveva iniziato a comporre canzoni proprie, e aveva cambiato il nome in “Hype”.
In quel tempo i ragazzi cominciarono a frequentare assieme ad alcuni loro amici coetanei, una comune artistica, che loro chiamavano “Lypton Village”. In questo spazio, aperto ad ogni forma d’arte, i ragazzi maturarono ancora di più la loro abilità, tanto da decidere di cominciare seriamente a trovare un contratto discografico, e nello stesso tempo di trovare una nuova identità. Sempre da questa comune verrà fuori un altro gruppo musicale: i Virgin Prunes (nei quali confluirà Dik), che però optreanno per uno stile cupo e gotico, cannibale e primitivo. E sarà appunto uno dei Virgin Prunes che ribattezzerà David Evans in “The Edge”, e Paul Hewson in “Bono Vox”, prendendo spunto da un negozio per apparecchi acustici su O’Connell Street.
Il 1978 diventa quindi un anno importante per il gruppo, che nel frattempo ha cambiato definitivamente il nome in “U2” (l’idea veniva dall’omonimo aereo spia americano abbattuto nel 1960 sul suolo sovietico, ma anche dal particolare suono delle parole, “you too”, che faceva intendere “anche tu”, sorta di nomen omen di cui la band irlandese ne farà una particolare peculiarità della propria arte), su suggerimento di Steve Averill, cantante dei Radiators, e ha vinto un concorso per band emergenti, ottenendo la possibilità di incidere dei singoli con la CBS. Sempre in quell’anno conoscono Paul McGuinness, un giovane critico rock, che da subito si propone come il loro manager.
Gli U2 così vanno a Londra e incidono il loro primo singolo, U2 3, contentente tre inediti: Out of control, un pezzo che Bono scrisse il giorno del suo diciottesimo compleanno; Stories for boys e Boy/Girl. Tre pezzi incentrati sulle tormentate tematiche adolescenziali, scritti di getto, e affascinati da un universo interiore per nulla banale, anche se filtrato da una certa ingenuità ed innocenza. Bono è ancora alla ricerca di una voce, ma sono già evidenti lo stile personale di The Edge, non certo un virtuosista della chitarra, ma nemmeno un punk nel senso pieno, e Larry, dei quattro il più preparato.
Il singolo viene pubblicato nella sola Irlanda, con una tiratura di mille copie, e va praticamente a ruba. Gli U2 ne incidono un secondo, Another day, e anche questo ottiene un discreto successo. Ma alla CBS non sono particoalrmente convinti delle potenzialità della band, e quindi non rinnovano il contratto.
Paul McGuinness allora si mette in contatto con un’emergente etichetta indipendente, la Island Records, fondata in Giamaica da Chris Blackwell (e che aveva sotto contratto Bob Marley), e ottiene un contratto discografico.
Gli U2 quindi si mettono immediatamente a lavoro per la realizzazione del loro primo album. Scaldano i motori con un singolo, 11 o’clock tick tock, prodotto da Martin Hannett, che aveva già all’attivo il lavoro in cabina di regia per Unknown pleasures e Closer dei Joy Divison, capolavori che segnarono l’inizio di una nuova era nella storia del rock. E volevano proprio lui per la produzione di Boy. Ma il suicidio di Ian Curtis il 17 maggio 1980 portò Martin a declinare l’invito, cosicché Paul McGuinness e gli U2 devono trovare un nuovo produttore. E così contattano il talentuoso Steve Lillywhite, che aveva già all’attivo produzioni eccellenti con gente come Ultravox, Peter Gabriel, XTC…
Boy fu il primo album, e fu pubblicato nell’autunno del 1980. Riflette tutti gli umori della band, dalla sua nascita fino ad allora. Inizia con un inno vero e proprio, I will follow, retto da un poderoso riff di The Edge, e un testo scritto da Bono, in cui si riferisce alla sua madre scomparsa sei anni prima. La band appare decisamente cresciuta rispetto ai timidi inizi. E il lavoro di produzione di Steve Lillywhite da corposità alla struttura delle canzoni.
Questo fu il primo passo di una carriera lunga quarant’anni, e che è cresciuta anche grazie all’ausilio di gente come Brian Eno e Daniel Lanois, attraverso capolavori straordinari come War, The unforgettable fire, The Joshua Tree e Achtung baby, ognuno dei quali rispecchiava una precisa identità artistica della band, passando dalla fascinazione americana a quella teutonica, identificandosi tanto con le canzoni d’altri tempi, quanto con l’anima elettronica del tempo delle macchine. In ognuna di queste fasi, gli U2 non hanno mai dimenticato le loro radici, la loro fede cristiana (sempre vissuta in maniera diametralmente opposta al fanatismo politico dell’IRA, e vicina al senso più vero delle Sacre Scritture), il loro sano orgoglio umano.
In questi quarant’anni gli U2 hanno saputo coniugare fede e passione, amore e calore, ironia e seriosità, unendo milioni di cuori come uno solo. In nome dell’amore!