40 anni fa l’attentato a Giovanni Paolo II: il ricordo di Giuseppina Coali, figlia di uno dei gendarmi accanto alla macchina del Papa in quel momento
Papà. Racconto delle ore successive: la sala operatoria al Gemelli ai tempi era solo una, pronta per un intervento – fortunatamente – e così già attrezzata hanno potuto velocizzare le procedure, seppur mio padre, Augusto Coali – della Gendarmeria Vaticana – si è trovato a temporeggiare nei corridoi con questo Santo uomo sofferente e in procinto di perdere coscienza, sul lettino, in attesa del prof. Crucitti, l’unico che si assumeva la responsabilità di operarlo.
Con medici e infermieri che correvano per i corridoi nel panico. Nessuno voleva toccarlo. Insieme a papà, poi, mons. Stanislao, nell’anticamera della sala ha assistito all’operazione con un manipolo di professori chirurghi curiosi e pronti a non perdere l’occasione di un po’ di protagonismo nell’evento. Nel frattempo il Papa perdeva molto sangue e, sottoposto a trasfusione, pochi sanno – poiché il sangue era poco controllato ai tempi -, gli è stato trasfuso sangue portatore di una infezione subdola che gli ha poi procurato tutta una serie di complicazioni di salute negli anni successivi.
Ad operazione conclusa, all’alba, papà lo ha accompagnato in rianimazione dove ha trovato il presidente della Repubblica Pertini che voleva essere lì in vicinanza di un caro amico e in apprensione (notizia per pochi: Pertini in fin di vita chiederà di vedere il Papa e lo farà attraverso una infermiera e all’insaputa della moglie. Mio padre accompagnerà Wojtyla in ospedale che aveva forse intuito che l’ex presidente forse avrebbe voluto confessarsi. Il Papa giunto in ospedale si trovò di fronte la moglie che chiese spiegazioni in atteggiamento severo, e il Papa le rispose che come lui gli era stato vicino ai tempi dell’attentato altrettanto voleva fare egli stesso – (furbamente non spiffererò alla moglie il desiderio espresso di vederlo) – ma lei, purtroppo insospettita, non lo fece entrare lo stesso. Pertini morì senza essere assecondato nella sua ultima volontà. Probabilmente la moglie non voleva che passasse l’idea che il marito fosse morto in odore di conversione).
Mio padre è rientrato a casa il giorno dopo, 14 maggio, alle ore tredici per ritornare al Gemelli in serata chiamato a fare la notte in servizio di sorveglianza fuori dalla porta della rianimazione. Nei giorni successivi sarà tra i primi ad andarlo a trovare in stanza. Lo troverà già insofferente a cure, medicine e medici. Accanto a lui, costantemente don Stanislao e la mitica suor Tobiana, la donna che gli è stata più vicina e quella che probabilmente custodisce i segreti più intimi del Santo: una figura eterea che ho avuto l’onore di conoscere a Cracovia qualche anno fa.
di Giuseppina Coali