Insieme riscopriamo il significato del Sacro Natale di Gesù
Mistero d’amore, grande festa dell’uomo e principio di solidarietà
«Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini»(Fil.2, 6-7).
Anzitutto bisogna ricordare che il 25 dicembre non è la data storica della nascita di Gesù ; ma è stata scelta, da parte della Chiesa, nel tentativo di soppiantare una festa pagana dell’antica Roma in onore del “Sole invitto“. In questo periodo dell’anno, le notti lunghissime cominciano ad accorciarsi ed i giorni ad allungarsi. Secondo la mentalità del tempo, è la luce che vince le tenebre, la vita che trionfa sulla morte. E a questo solstizio d’inverno, avvenivano solenni celebrazioni di culto al Sole (divinità). Per allontanare i fedeli da queste feste idolatre, la Chiesa ha visto in questo Sole il Signore Gesù, e ha richiamato i cristiani a considerare la nascita di Cristo, vera luce che illumina ogni uomo (Gv1,9). Con questa nuova prospettiva o impostazione (cf. fine del IVsecolo ed inizio del V), dove il Natale di Gesù veniva celebrato il 25 dicembre (Roma, Nord-Africa, Nord-Italia, Spagna) come festa distinta dall’Epifania (denominazione dell’Incarnazione del Verbo in Oriente), celebrata il 6 gennaio, i cristiani hanno colto l’occasione per affermare l’autentica fede nel mistero dell’Incarnazione, contro alcune eresie cristologiche (gnostico, ariana, docetìsta, manichea o monofisita).
E’ il Papa S. Leone Magno (440-461) che ha dato a questa solennità il suo vero fondamento teologico. Secondo lui, la celebrazione dell’incarnarsi del Verbo di Dio non appare soltanto come un ricordo del passato, ma va vista al presente ; perciò è una festività « che rinnova per noi il sacro natale di Gesù ». Il problema fondamentale e la preoccupazione maggiore, da quel tempo ad oggi, stanno nel sapere non più il “come” (con un moltiplicarsi sempre crescente dei presepi, talvolta stravaganti), ma il “perché” di questo evento, cioè il suo significato nel piano o disegno divino ; meglio, il motivo dell’Incarnazione (cf. il Cur Deus homo di S. Anselmo), il “perché Gesù Cristo”.
Agostino (354-430) parla del « mirabile scambio » tra la divinità e l’umanità, in Cristo : « Dio si è fatto uomo. affinchè l’uomo diventasse Dio » (un mistero di partecipazione reciproca). In altre parole, essendo Figlio di Dio, Gesù è venuto a farsi figlio dell’uomo e a dare a noi, che eravamo figli degli uomini, la possibilità di diventare figli di Dio (cf.«A quanti però l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio », Gv1, 12). La sua incarnazione è, per così dire. una pro-esistenza (una vita per gli altri): si tratta di un vero mistero d’amore. Dunque il presupposto immediato dell’incarnazione del Verbo di Dio non è l’aspetto negativo del peccato del mondo da togliere o da riparare, secondo il principio della “soddisfazione adeguata” di S. Anselmo (cf. L’offesa fatta a Dio essendo quasi infinita, la sua soddisfazione era solo alla portata dell’uomo-Dio Gesù Cristo : e per questo l’Incarnazione era necessaria per la redenzione dell’umanità), come se si trattasse di placare un Dio irato, tenace nel rancore e vendicativo ; o il principio di “ragioni di convenienza” (cf. S. Tommaso : Gesù Cristo incarnato era assente, in un primo tempo, nel piano di Dio; vi è entrato dopo, proprio come Salvatore e Redentore, per soddisfare – perché solo lui ne aveva la capacità e la idoneità – alle esigenze di giustizia dovute al peccato), le cui negative conseguenze sono che il mondo è accidentalmente cristiano, perché l’Incarnazione non sarebbe mai avvenuta se l’umanità non avesse dovuto essere salvata dal peccato : è fare di Cristo un secondo fine nel disegno di Dio che comporterebbe due piani successivi e sovrapposti. Questo è indegno di Dio e lo disonora. Anche se l’uomo non avesse peccato, il Verbo di Dio si sarebbe incarnato : « tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (Cor 1,16). Quindi il presupposto immediato dell’incarnazione del Verbo di Dio è un aspetto più positivo, cioè l’adozione dell’umanità. Non vi si tratta tuttavia di una filiazione “puramente adottiva“, semplice finzione giuridica, che porta Dio a guardarci come suoi figli, senza che lo siamo realmente ; anzi in Cristo, Dio è diventato veramente nostro Padre. Perciò in questa adozione stessa, l’essenziale non è posto sulla redenzione come tale, benché presentata nel Nuovo Testamento essenzialmente come mistero d’amore, ma sulla divinizzazione.
Dunque Dio si è fatto uomo perché fossimo divinizzati. Più concretamente, la nostra debolezza è stata assunta dal Verbo di Dio, l’uomo mortale è stato innalzato alla dignità perenne per condividere alla fine la vita immortale ; Dio, in Cristo, è diventato un parente, un fratello e un amico. Cioè il “Dio degli uomini“, già dall’Antico Testamento, diventa in Gesù Cristo il “Dio degli uomini in modo umano” (Schillebeeckx), in una “auto-comunicazione” tanto totalmente immanente quanto possibile e in un’auto-donazione contemporaneamente ricreatrice e riparatrice. Di conseguenza, con l’Incarnazione è iniziato il misterioso processo di unificazione di tutta l’umanità in Cristo {Gaudium et Spes, n° 22), superiore all’unità fondamentale di tutta l’umanità nella creazione. Tutti gli uomini – “di ogni tribù, lingua, popolo e nazione” – sono d’ora in poi fratelli, perché tutti in Gesù Cristo, fatto uomo, appartengono alla stessa famiglia divina, di cui la Chiesa è il “germe” e il “segno” {Redemptoris Missio, n° 17) : ne deve dare manifestazione e testimonianza, nel senso che i suoi mèmbri devono essere “strumenti” di traduzione della grazia ricevuta ; cioè la Chiesa deve essere il segno vivente di ciò che celebra, o non può vivere in contraddizione con quello che proclama, e che dà senso alla sua esistenza.
Il mistero dell’Emmanuel (Dio-con-noi) non ci offre dunque soltanto un modello da imitare nell’umiltà e semplicità del Signore che giace nella mangiatoia, ma ci dona anche e soprattutto la grazia di essere simili a lui. Questo dono non incita prima di tutto a organizzare le feste pompose attorno ai bei presepi – è troppo poco! Ma invita anzitutto a prendere coscienza dell’autentica visione dell’UOMO e a celebrare il Natale veramente come la Grande Festa dell’UOMO (ogni uomo). Inoltre, questa grazia del Natale esige, come risposta, una vita di comunione fraterna. Il Natale risulta dunque il principio di solidarietà tra tutti gli uomini, nell’attesa del Regno di Dio nella sua pienezza/perfezione escatologica, con la presenza totale e definitiva di Gesù, dopo il giudizio finale. Infatti, la ricompensa dei giusti (cf. parabola del giudizio finale, Mt 25, 31-46), i ” benedetti del Padre “, si fonda sulle opere di misericordia e di solidarietà verso il prossimo nel bisogno, per le quali Gesù, il Re-Messia, dichiara di essere (stato) il beneficiario : « In verità vi dico : ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).
Senza voler chiudere il discorso, riconosciamo perentoriamente che nel suo Natale, il Re-Messia, manifestandoci il mistero d’amore del Padre, svela anche pienamente la dignità dell’uomo all’uomo, e gli fa scoprire la sua altissima vocazione : LA SOLIDARIETÀ.
«E il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi ; dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia» (Gv1, 14-16).
Don Joseph Ndoum