Non di sola pandemia vive l’uomo
Sul Sunday Times del 14 giugno sono stati pubblicati i risultati di un sondaggio sui lavori ritenuti essenziali e non-essenziali nel contesto di una pandemia. Al primo posto di quelli essenziali troviamo medici e infermieri. In cima ai lavori non essenziali si trovano gli artisti.
Ad uno sguardo meramente razionale, questi risultati potrebbero sembrare ovvi e frutto di risposte equilibrate, ma bisogna saper leggere fra le righe e anche oltre, bisogna intravedere dove portano questi articoli e che influenza hanno su chi li leggerà.
Prima abbiamo eretto una società sull’intrattenimento, sulla “creatività”, poi ce ne vogliamo sbarazzare appena sale il panico per la morte.
Un comico di Singapore, paese dove è stato commissionato il sondaggio, ha lanciato subito una provocazione sui social sfidando i suoi connazionali a fare una serie di scelte tra le quali: cancellare Netflix e Spotify, vendere la TV, smettere di dare ai propri figli i tablet per tenerli occupati, smettere di ascoltare musica durante gli esercizi di ginnastica o nei momenti di rilassamento, smettere di guardare qualunque film o video musicale su Youtube. Inoltre non andare nei cinema, nei teatri e nei ristoranti una volta riaperti, andare soltanto nei ristoranti senza musica e senza quadri e concentrarsi solo sul cibo, andare in un bar senza musica dal vivo o schermi e concentrarsi solo su quello che si beve, fare incontri privati dove ci sono solo suoni naturali.
Siamo certi che la massa anche qui da noi in occidente e in Italia, sia riuscita a sopravvivere alla quarantena, alla noia, alla paura a cui non riusciva a dare un volto, grazie a tutta questa arte e creatività; quanti film e serie sono stati visti, quanti libri sono stati letti, quanta musica è stata ascoltata nei lunghi giorni del silenzio totale nelle città?
Anche quelli che non si considerano massa sappiamo per certo che hanno trascorso il tempo in compagnia di questi strumenti creativi.
Eppure facilmente li consideriamo non essenziali; davvero non ci accorgiamo di come riescono a spostare la nostra attenzione su ciò che vogliono senza che nemmeno ce ne rendiamo conto? Le domande di un sondaggio come questo, raccontano di una mente equilibrata, nel pieno possesso di sé, o piuttosto di una psiche affogata nel panico di cui ovviamente non è disposta ad ammettere il potere? I bisogni, i desideri che appaiono indispensabili ad un dato momento, un attimo dopo non lo sono più. Forse perché sono vissuti appunto, solo come bisogni, e non come strumenti necessari al nostro vero bene.
Noi ci cibiamo di tutte queste cose, con una foga bulimica: desideriamo che i medici ci consegnino un mondo interamente “sanificato”, ma poi corriamo a tuffarci su un divano per occupare la mente con un film o una serie TV; saliamo in auto e accendiamo la radio, incapaci di tollerare il silenzio o peggio ancora i nostri pensieri. Con la stessa facilità giudichiamo inutili chi crea e ci dona queste cose, perché abbiamo fatto della conservazione della vita biologica un idolo. Personalmente avremmo giudicato inutile chi lavora nella finanza, in mezzo ad una pandemia.
Siamo dissociati e non ce ne avvediamo, perché al fondo siamo soltanto degli egoisti, alcuni fra i quali si illudono persino di coltivare la propria anima: ma è invece solo la bassa psiche che continuiamo ad alimentare.
Al di là di questo consumo compulsivo e inconsapevole dovremmo invece prendere il tempo per fermarci e meditare su qualcosa che da troppo ci sfugge. Abbiamo bisogno di vera Cultura e di vera Arte. Di Bellezza. Vale la pena di vivere in un mondo senza arte? Dove viene meno l’arte viene meno la libertà. Dobbiamo infine chiedere a noi stessi la cosa più importante: che cosa vogliamo davvero, che cosa vogliamo essere nella nostra vita?
di Massimo Selis e Belinda Bruni