Paolo Palumbo, col suo inno alla vita, ci ha dato uno schiaffo benefico
Nell’ antica e sempre nuova disputa tra atei, agnostici e credenti, non ci saranno mai né vinti né vincitori. Siamo tutti sulla stessa barca. Tutti poveri mendicanti davanti al mistero immenso della vita e della morte. Occorre avere più coraggio, non arrendersi, scavare di più, interrogare di più per poter dire e agire in modo da fare bene a tutti.
Ho visto donne e uomini americani esultare per il fatto che nel loro Paese, “abortire”, può essere, in certi casi, legale fino a poche settimane prima del parto. Eppure basterebbe gettare uno sguardo, uno sguardo solamente, al “ prodotto” dell’aborto per inorridire davanti a quel tenero essere stroncato.
Don Fortunato Di Noto, pochi giorni fa, ha denunciato e resa pubblica, l’ultima “scoperta” fatta da Meter, l’associazione di cui è fondatore e anima, nel campo della pedopornografia: 550 bambini abusati, molti dei quali neonati.
La notizia che, sono certo, avrebbe fatto accapponare la pelle a tutti, è passata quasi inosservata, e non è un bene.
Il dolore, il male, la morte, restano, checchè se ne dica, i pilastri attorno ai quali si snoda, da sempre, in un modo o in altro, la riflessione filosofica e teologica. Addolora che, tante volte, di queste cose, si argomenta in modo inadeguato e superficiale.
La Sla è una malattia terribile. Gaetano Fuso, un giovane papà di Calimera, nel Salento, che ho avuto la grazia di conoscere, ne fu colpito all’età di 38 anni. Ho parlato di lui nei giorni scorsi in un incontro tenuto a un folto gruppo di adolescenti. Nessuno di loro aveva idea di che cosa fosse la Sla. Ho raccontato di Gaetano, di sua moglie Giorgia, delle sue bambine. Il silenzio, l’emozione, la commozione hanno preso il sopravvento. Facce serie e pensose. Credo che tutti ci siamo chiesti: e se succedesse a me, alla mia mamma, a mio fratello?
Poi, ieri sera, a Sanremo, è arrivato lui, Paolo Palumbo, e ci ha inchiodati. Ha fatto riflettere e commuovere milioni d’italiani. Ci ha svegliati dal nostro torpore. Il suo inno alla vita è stato un benefico pugno negli occhi.
Il Papa, la settimana scorsa, parlando del peccato del re Davide, ha spiegato come ci sia arrivato“ lentamente”. Lentamente si è lasciato andare prima alla pigrizia, poi all’adulterio, infine all’orribile, vigliacco, omicidio. Dalla pigrizia all’assassinio. È scivolato lungo questo spaventoso pendìo, tanto lentamente che nemmeno se n’ è accorto.
Può capitare anche a noi. Allora – ha continuato Francesco – c’è bisogno “tante volte di uno schiaffo dalla vita per fermarci, per stoppare quel lento scivolare… c’è bisogno del profeta Nathan…”.
Paolo Palumbo, mercoledì sera, ci ha fatto un dono immenso, ci ha strattonati, ci ha dato quello schiaffo. È stato per noi ciò che Nathan fu per Davide. Gli italiani hanno potuto vedere con i propri occhi, ascoltare con le proprie orecchie chi è, come vive, come parla, come sogna, come prega una persona nelle sue condizioni.
Paolo ha saputo toccare le corde più segrete dei nostri cuori; ha saputo esorcizzare le nostre paure e i nostri pregiudizi. Grazie, Sanremo, quando ti fai trampolino di gioia, di amicizia, di valori; grazie, Amadeus per avere dato a Paolo la possibilità di dire: ci sono anch’io, ci siamo anche noi.
Grazie a te, Paolo, per la “lectio magistralis”, che ci è giunta dall’alto della tua cattedra di sofferenza e di speranza. Giovane tra i giovani, ci hai ricordato che la vita è bella anche quando pesa. Grazie per aver testimoniato a tutti, credenti e non credenti, la forza che ti giunge dalla recita del Rosario, la preghiera dei poveri, la preghiera dei semplici, la preghiera di tutti.
Quanti Gaetano, quanti Paolo ci sono in giro per il mondo? Il loro silenzio, grida. Hanno bisogno di noi e noi di loro. Per volerci più bene, per vivere meglio, per scoprire, forse, il vero senso della vita. La ragione da sola non basta. C’è bisogno di tanta umiltà. Umiltà che si fa silenzio, attenzione, condivisione, stupore. Voglia di esserci, di aiutare, d’imparare. Imparare a vivere. Senza invocare scorciatoie, senza bestemmiare, senza ironizzare.
«Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo in alcuni periodi …» scrive san Giuseppe Moscati.
L’atavica domanda sul dolore innocente ha ricevuto da questo giovane sardo una ulteriore, flebile risposta, che se non risolve il dramma a quel dramma ci fa accostare con umiltà, in punta di piedi e scalzi. Grazie, Paolo. Davvero.
Padre Maurizio Patriciello.