Trasformare l’acqua in vino
A me la storia del vino che finisce pare plausibile, parecchio.
Molto più plausibile del fantomatico “e vissero felici e contenti”.
Felici e contenti sì ma diciotto volte l’anno se va bene, diciannove nei bisestili.
Dopo i brindisi e viva gli sposi, la vita vera è uno slalom tra “abbiamo finito di nuovo le canottiere pulite” e “l’ultima volta che m’hai portata a cena fuori c’era Chievo-Inter”.
Capita abbastanza spesso abbastanza per molti.
Nonostante le intenzioni di partenza tutte belle.
Perché siamo umani, e nella sopravvivenza tra le cose che ci corrono veloci attorno a una certa finisce il vino.
E finisce il friccicore, e finisce la pazienza e finisce che sai dove te le metto le mutande la prossima volta che le trovo a terra.
A quelli di Cana è andata pure peggio, il vino gli è finito che stavano ancora festeggiando, poveracci.
Succede eh, che in un matrimonio gli ostacoli stiano piazzati già ai blocchi di partenza: la suocera tignosa, pochi soldi anzi zero, una malattia improvvisa che fino a due giorni prima non c’era e poi c’è, e il mondo ti si ferma col respiro.
E allora che si fa.
Si fa che bisogna piegare le ginocchia, e chiedere che Qualcuno faccia il miracolo.
Di riportarci il vino, di ridarcelo buono e fresco e vitale come quel primo giorno. Tutti i giorni.
Noi ci si mette l’acqua, in economia, poca roba ma sincera.
E solo così l’amore, miracolosamente, resta buono e nutriente.
Comunque, per avere i miracoli bisogna sempre passare per la mamma, come tutte le mamme è una perfezionista e Lei lo sa, una festa senza vino non è proprio cosa.