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Il regalo di Natale – un racconto di Benedetta Bindi

“Per l’uomo che prega molto non esistono disperazione, né amara tristezza” Lèon Bloy. 

La maggior parte delle persone che frequento non prega. Non ne conoscono la necessità, non possono beneficiarne. I loro figli crescono senza impararle e dovrebbe essere la casa uno dei luoghi dove si inizia a conoscerle. 

Io ricordo di mia nonna più il rosario che il suo volto, pare incredibile ma a distanza di anni dalla sua morte è così. Quelle palline rosse che teneva spesso in mano, erano un prolungamento di sé, come fossero un altro braccio. 

Non ho un’immagine di lei senza quell’oggetto sacro, diceva sempre: “credo che pregare sia un atto di valenza cosmica”.

Io immaginavo le stelle, la luna, i pianeti, che mi ascoltavano mentre dicevo insieme a lei l’Ave Maria. Questo accadeva circa una volta a settimana, quando i miei uscivano la sera, ed io ero troppo piccola per rimanere da sola a casa. 

Insieme alla nonna nel suo lettone, dopo aver visto la televisione potevo scegliere nella grande scatola di legno uno dei tanti rosari che vi erano all’interno. 

Gialli, rossi, verdi, celesti, di legno, avevo l’imbarazzo della scelta. Tutti tranne uno potevo averne, quello al profumo di  rosa che gli aveva regalato nonno Alberto, l’uomo che non ho mai conosciuto perché alla mia nascita era solo spirito.

Dio è corazza dei forti  mi diceva lei, “e tu devi crescere forte  come una guerriera con Dio vicino”. 

Mi piaceva molto immaginarmi su un cavallo con una lancia, pronta ad affrontare ogni pericolo. Le rispondevo: “Sì nonna diventerò una ragazza forte,  Dio sarà il mio scudo!” Lei mi accarezzava la testa e mi sorrideva. 

Una delle ultime volte che l’ho vista era a letto, stava male, ma era serena e sorridendomi mi ha detto: “Ginevra ci sono luoghi, momenti, situazioni in cui si può solo pregare, e pregare fa la differenza!”  Ricordo mi sono seduta al bordo del letto, e insieme abbiamo detto l’Ave Maria. Era la preghiera che le si poggiava  sulle labbra spontanea, come fosse un sorriso. 

Ne è passato di tempo da quel giorno! 

Ora sono una donna adulta :“Prega!” è un imperativo che mi accompagna come fosse pane durante un pasto, ma non è sempre stato così. 

Nella mia adolescenza, mentre  iniziavo a gustare i frutti di questa vita, mia nonna si preparava ad abbandonare il mondo, io se pregavo lo facevo solo con lei.

Lo sapeva, ma le bastava il nostro volerci bene, e non mi criticava. 

Mia madre invece si lamentava,  le raccontava che non andavo più alla messa, che fumavo, bevevo, e facevo parte di un gruppo rock, dove io suonavo la chitarra. Lei ascoltava poi cambiava argomento e mi prendeva la mano. Mi conosceva meglio di mia madre, sapeva che il mio atteggiamento  un giorno sarebbe finito, ma che quel periodo di ribellione dovevo viverlo, e così è stato. Pochi anni  dopo la sua morte mi sono laureata, e ho iniziato a lavorare in una grande azienda. Avevo davanti a me una promettente carriera, ma il motto: “produci, consuma, crepa” ad un certo punto ho capito che non era per me. Ho cercato un  lavoro part-time, mi sono sposata con Matteo, il cantante del gruppo rock che nel frattempo aveva abbandonato le note  e faceva il dentista, e ho fatto una bambina con lui: Marica, ora ha undici anni. 

Fortunatamente un giorno sono tornata  a pregare.

È accaduto senza accorgermene,  mentre pulivo la cucina, invece di cantare una canzone, l’Ave Maria mi è caduta in bocca . Da quel giorno anche mia figlia ha iniziato a pregare con me, a soli tre anni. 

Ieri sera mi ha chiesto se rimanevo con lei prima di dormire e le raccontavo la storia del contadino e il prete. 

Marica ha iniziato da qualche mese la prima media, eppure ha ancora  degli atteggiamenti  da piccina, altri da ragazza, e non è  facile per lei far conciliare i due mondi dentro di sé. Così seduta sul bordo del suo letto ho iniziato a narrare la storia che mi faceva chiudere gli occhi quando dormivo con nonna Paola. 

Parla di un contadino che racconta al  prete che ogni sera lascia fuori dalla porta di casa un piatto con la  cena per il Signore. Ogni mattina lo trova vuoto. Il prete, senza trattenersi dal ridere, gli dice che il Dio è puro spirito e non mangia e lo invita a verificare la notte quello che succede. Il contadino si apposta e  scopre un cane  che  mangia il cibo da lui preparato. Mortificato torna a dormire. La mattina dopo va in chiesa dal prete e gli racconta l’accaduto. Il Sacerdote sorride e gli dice: “vedi Dio è spirito!” e torna soddisfatto a spazzare l’oratorio,  quando un angelo gli prende la scopa e gli dice: “hai privato con la  tua sapienza un uomo semplice della possibilità di adorare Dio, che ogni notte mandava un cane ad accettare la sua offerta!” 

La nonna finita la storia mi diceva tutte le volte: “ vedi Ginevra, la fede inizia dove la ragione finisce ”. Frase che io ho ripetuto a mia figlia tante volte. 

Ieri sera  siamo scese insieme  in cantina, lei si era ricordata che avevamo lì altre luci colorate per adornare il terrazzo. Ho aperto uno scatolone dove credevo potessero esserci, invece ho trovato i libri di preghiera di mia nonna, quelli che pensavamo si fossero persi quando abbiamo sistemato il suo appartamento per affittarlo. 

Oggi mia figlia, mentre stava sistemando insieme a me i regali sotto l’albero, mi è venuta vicina e mi ha detto a bassa voce, per non farsi sentire dal papà: “Mamma che dici se metto anche i libri di nonna sotto l’albero? Se lei la vigilia non li prende, me li prendo io!”  Poi mi ha sorriso, e ha ripreso: “Sai mamma mi sento strana ultimamente, però quando prego sto bene, comunque meglio. Se non prego sto peggio”. 

Ho pensato: “Ecco! Nonna Paola mi ha fatto il regalo di Natale! Cosa vuoi di più dalla vita Ginevra?!” e ho guardato Marica

Ho abbracciato il suo giovane corpo, ogni mese che passa meno gracile,  pronto a sbocciare forte. Mentre ho sentito il suo calore, ho percepito con estrema certezza che un giorno diventerà  una donna forte, più velocemente del tempo che ho impiegato io per diventarlo.

  

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