Il ritiro triste e perfetto di Nadal
C’è un che di poetico, triste e perfetto al tempo stesso nel ritiro di Rafael Nadal che termina la sua carriera con una sconfitta in Coppa Davis. La Spagna è stata infatti eliminata dall’Olanda per 2-1 nei quarti di finale a Malaga. Nadal è stato battuto 6-4, 6-4 da Botic van de Zandschulp, olandese senza grossi picchi ma in grado di mettere spalle al muro il Nadal di oggi, il cui tennis non è più efficace ed in grado di fare la differenza, nemmeno contro il n. 80 del mondo.
Non sono un suo tifoso o un suo fan, soprattutto per le esternazione che fece contro Djokovic all’epoca dell’esclusione dagli Australian Open, ma Novak stesso lo perdonò ed io rispetto l’uomo e ciò che ha realizzato. È un grande atleta che ha vinto 22 Slam ed è stato il più grande rivale di Novak. Senza di lui, Novak probabilmente non sarebbe diventato come è oggi. Si sono spinti a vicenda a diventare giocatori migliori.
E con il suo addio al tennis professionistico, di fronte all’inevitabile consapevolezza che il tempo non risparmia nessuno, è difficile non commuoversi. Il tempo, silenzioso e implacabile, ha visto la furia del giovane affamato con i bicipiti in mostra che correva senza sosta su ogni palla, e ora osserva il veterano che, tra un infortunio e l’altro, lotta contro i limiti di un corpo consumato dagli anni e dalla gloria. Il tutto con una malattia degenerativa al piede dall’età di 18 anni. Ogni servizio, ogni rovescio, ogni scatto era un grido di ribellione contro l’inevitabile, ma anche il più grande dei gladiatori della terra rossa ha dovuto deporre la spada.
Voleva diventare il più forte tennista di tutti i tempi. Non ce l’ha fatta ma verrà ricordato comunque tra i più grandi. E con il suo ritiro siamo tutti un po’ più vecchi. Ci ricorda che il tempo passa per ognuno e che non tutto quello che abbiamo in mente si realizza. I capelli folti dei 20 anni non ci sono più, i muscoli cedono e le pause sono sempre più lunghe: tutto racconta di una vita vissuta intensamente, ma che ora chiede riposo e che appare più saggia:
“Il corpo mi ha detto che non vuole più giocare a tennis e bisogna accettarlo. Sono un privilegiato. Ho potuto fare del mio passatempo la mia professione. Sono un fortunato. La mia famiglia, il mio team, i miei amici. Sono una persona che crede nella continuità, credo nel mantenere le persone che ti vogliono bene e che rendono la tua vita migliore. Ho tenuto la mia famiglia vicina. Senza di voi, tutto questo non sarebbe stato possibile.”
Qualcuno si è lamentato dell’addio sommesso di Nadal, eppure secondo me è stato perfetto perché ha sempre detto che per lui si trattava solo di un altro torneo e di un’altra partita da vincere e per cui lottare. Non è il tipo di persona che avrebbe voluto troppa attenzione come Roger Federer. Niente concerti o fanfare. Rafa è fondamentalmente un introverso, ha solo voluto sgattaiolare via in silenzio, come quando si sgattaiola fuori dal retro di una festa senza dover per forza abbracciare tutti per salutarsi.
Poche parole, qualche lacrima, qualche saluto e qualche fugace momento prima di uscire dal campo per l’ultima volta. Era tutto ciò di cui aveva bisogno. Un addio più solenne avrebbe solo reso le cose più difficili.
Il suo gioco non convenzionale, i tic assurdi, i rituali, le scarpe sporche, i vestiti grondanti di sudore e il corpo stanco ricoperto di bende. Era tutto imperfetto. Perfetto nell’imperfezione.
Ed ogni imperfetto merita rispetto. Rafa Nadal è uno di questi.
#sebastianoalicata