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Il fascino e la genialità degli imperfetti

L’altro ieri alle Atp Finals di Torino, il russo Daniil Medvedev è stato sconfitto malamente dallo statunitense Taylor Fritz, ha perso letteralmente la calma e si è lasciato andare a gesti rabbiosi, ma mentre fior fiori di giornalisti e commentatori hanno ovviamente fatto la morale sul suo comportamento parlando di “pantomima”, “esordio choc”, “pagliacciata” ed usando frasi del tipo “Torino non si meritava questo indegno spettacolo”, a me la sua frustrazione ha ricordato il fascino delle persone imperfette e vulnerabili, spesso le più interessanti e autentiche. Capisco il pubblico che ha fischiato ma come molti talenti imperfetti, Medvedev mostra secondo me una fragilità che è lo specchio della sua forza, perché risuona con chi è abituato a vivere nel tentativo costante di superare i propri limiti.

C’è sicuramente un elemento di fascino nel ricorrente comportamento impulsivo di Daniil Medvedev, un tipo di “genio nella frustrazione” che può essere visto come una manifestazione della sua intensità e del suo approccio mentale al tennis. La sua esplosione emotiva — che ha incluso il lancio, la distruzione della racchetta e altri gesti di protesta — ha mostrato non solo il suo temperamento competitivo, ma anche il conflitto interiore di un giocatore che lotta per mantenere il controllo in un contesto di estrema pressione. La sua frustrazione è in parte segno della sua genialità: il suo rifiuto di accettare una prestazione inferiore a ciò che sa di poter offrire. Questo tipo di reazione è, per certi versi, una forma di “resistenza creativa” contro la sua stessa stanchezza e una dichiarazione di quanto alto sia il suo standard di gioco.

E In conferenza stampa il numero 4 del mondo non ha nascosto tutto il suo disappunto per l’andamento del match: “Sfortunatamente, per la testa non mi passa nulla e non mi aspetto niente. Mi arrabbio. Questa volta con me stesso, con nessun altro. Solo con me. È veramente frustrante. Palle break, righe: ho perso la partita, non mi importa. Ma bisogna finire la partita, non ci si può ritirare, no? Ho semplicemente finito il match…Sono stanco di lottare con qualcosa che non dipende da me. Vedremo come andrà. Oggi ho avuto le mie occasioni. Le avrò nelle prossime partite. Se non funzionerà, andrò in vacanza. Sono felice”.

Ecco, sono questi gli atleti per i quali nutro una profonda empatia; come ammiro una persona e un giocatore autentico nella sua umanità e nelle sue emozioni come Novak Djokovic (paradossalmente spesso criticato proprio per questo), non posso non farlo con uno come Daniil Medvedev. Il russo è un talento eccezionale, ma anche lui non è immune a momenti di debolezza, che a volte sfociano in atti che vanno ben oltre la compostezza tipica di un atleta d’élite. Invece di mantenere la calma, ieri ha mostrato una reazione viscerale, svelando la lotta interiore che tanti giocatori affrontano: un mix di aspettative, stanchezza e insoddisfazione.

In un mondo come quello del tennis in cui l’atleta ideale è spesso rappresentato come un modello di autocontrollo e disciplina, il lato impulsivo di Medvedev si distingue. Anche se non vincente negli ultimi tempi, Daniil, per chi sa vedere oltre, lascia in chi lo guarda un’impronta unica, ricordandoci che l’essere un monotono e perfetto robot sparapalle non è l’unica strada per il successo e che la vera bellezza sta spesso nell’imperfezione. È il fascino delle persone imperfette, che, come Medvedev, danno tutto ciò che hanno, anche se non sempre nel modo più elegante e condivisibile. Questa autenticità, benché talvolta scomoda, è un aspetto raro e prezioso, che ci insegna ad accettare le nostre stesse fragilità di esseri umani.

Grazie Daniil per la tua splendida ed umana imperfezione.

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