cultura

L’occasione – un racconto di Benedetta Bindi

Non aspettare il momento opportuno: crealo” – G.Bernard Shaw

Ero arrivato in stazione, era sera, ho sentito un brivido di  freddo,  ricordo ho  alzato il collo del cappotto e mi sono rimproverato di non aver portato con me  una sciarpa, quando una voce ha  annunciato il ritardo di un’ora del mio treno. Ero stanco, volevo tornare a casa, ho sbuffato e  ho tirato fuori il cellulare per avvisare mia moglie. Mi è passato accanto un barbone, aveva all’incirca  la mia età, indossava un cappotto  scucito da un lato, e  trascinava una specie di carrello con varie buste sopra.  Mi ha detto sorridendo: “questi treni sempre in ritardo!” poi è andato a sedersi  su un muretto in mezzo a due colonne. Mi ha colpito, eppure non era certo il primo clochard che vedevo. Forse perché mi somigliava, stessa corporatura, stessi occhi chiari, stessa barba. Lo guardavo  con la coda dell’occhio, mentre chiamavo mia moglie, per avvisarla che sarei rientrato a casa più tardi. 

Ero attratto da quello sconosciuto e guardandolo ho pensato che  potevo esserci io nei suoi stessi panni, se le cose anni fa mi fossero andate  male. Quando ho aperto il mio studio di avvocato, ho rischiato parecchio, potevo non avere abbastanza clienti, non sapere come pagare l’affitto, mia moglie magari mi avrebbe lasciato… chissà. 

Lo guardavo cercare qualcosa nelle buste, mentre parlavo con Loredana. La paura del fallimento professionale e dell’insuccesso sociale, mi ha accompagnato per un lungo periodo, ho vissuto parecchi anni con un senso di precarietà ancestrale, sapevo che un passo falso, mi avrebbe fatto cadere nel dirupo. Ho lavorato tanto perché questo non avvenisse, e probabilmente anche la fortuna ha fatto la sua parte.

Una roulette russa la vita,  a me il colpo non è partito, a lui l’aveva preso in pieno. 

Sarà  bastata una svista, una debolezza e : “Buum! Colpito”, mi giravano in mente questi pensieri quando ho visto che si avvicinava a me, ho pensato :”adesso che vorrà!?” Sorridendomi mi ha detto :”non voglio soldi, hai una sigaretta?” Dal mio volto aveva già capito le mie paure, ho risposto: “non fumo, ma ora vado a prendermi qualcosa  al bar, vuoi  un pacchetto? Hai fame?” Lui mi ha guardato incredulo e mi ha detto: “mi prendi in giro?”  Io molto serio gli ho risposto che mi faceva piacere dargli una mano. Lui ha detto: ”è  troppo gentile, se posso le domando anche una  birra, lei è meglio di un gratta e vinci!”  Gli ho sorriso, la battuta mi era piaciuta.

Sono tornato da lui dopo dieci minuti, con un panino, la birra  e un pacchetto di sigarette. Gli ho detto : “queste ti ammazzano”, lui mi ha ringraziato, poi se n’è accesa una e mi ha risposto: “ a me mi hanno ammazzato altre cose, mi creda!”.

 Avevo tempo e ho iniziato a parlarci.  

Mi chiedi come mai vivo alla stazione? Che poi nemmeno ci vivo, è da una settimana che sto qui. La mia storia è lunga, sono nato a Napoli, mio  padre era di origini  aristocratiche, ha perso tutto al gioco e con le donne. Mia madre  è morta di crepacuore a stargli dietro. Io avevo dodici anni, sono stato  cresciuto da mia zia, brava donna ma mezza matta. Mi voleva bene, ma non riusciva a mettere il pranzo con la cena. Ho  studiato fino alla terza media, poi ho iniziato a fare  lavoretti qua e là, ho le mani buone. Come falegname non mi batte nessuno. Ho lavorato per anni a teatro, poi un giorno  mi sono fidanzato, ha deciso tutto lei. Anna è un’attrice, bella da  perdere la  testa, all’inizio l’aveva persa per me. Quindici anni insieme, quello che  guadagnavo lo spendevo tutto per lei, però l’appartamento dove vivevamo era suo, ma gli ho rifatto tutto io, pittura, mobili, era bello,  in centro. Un giorno l’ho scoperta in camerino che baciava un regista,  ho spaccato tutte le quinte che avevo costruito. Sono tornato a casa sua  e gli ho rotto tutto. Poi da lì casini, su casini, la mia vita mi è crollata addosso. Mio padre era morto, la zia anche, non sapevo dove andare. Qualche amico mi ha ospitato, ma bevevo tutto il giorno, non lavoravo più, ero distrutto. Alla fine ho vissuto per strada. Sono venuto a Roma, un amico di Napoli, Ugo, l’unico vero amico mio, mi ha inserito a Cinecittà,  poi piano piano hanno messo dei raccomandati, mi hanno tagliato fuori lentamente. Ugo mi ha cacciato dal monolocale che ha la moglie a Labaro,  lui mi avrebbe tenuto, ma la moglie rompeva perché non pagavo più  l’affitto. Cosi ho  iniziato a dormire per strada. Pensavo fosse per poco,  ora sono quasi due mesi. Mi sono spostato alla stazione, ci sono associazioni che ti danno da mangiarepuoi andare da loro a leggere o vedere la televisione,  brava genteMagari mi trovano da dormire. A Ugo ho detto che sono  a Napoli, che sto lavorando. Mi chiama ogni giorno, e’ in pena per me, mi paga il telefono lui. Ha casini con un figlio che è  autistico, ci manco solo io a dargli pensieri“.

Teneva ancora il mozzicone della sigaretta  finita tra le mani. Ero certo che un uomo buono, solo, e disilluso dalla vita, troppe volte ferito. 

Mentre lo guardavo grattarsi la barba, pensavo a cosa potevo fare per lui. Come dargli un lavoro? A cinquantatre anni come mi aveva detto di avere,  non era cosa facile. Lavoro! Tutti lo cercano disperatamente, i più combattono per raggiungerlo, come ho fatto io, che vengo da una famiglia umile, mio padre era operaio alla Fiat, qualcun altro lo eredita, ma ognuno rischia di perderlo da un momento all’altro e di precipitare nell’abisso. Una persona davanti a me stava per affogare, dovevo far qualcosa prima che arrivasse il treno. Mi sono girato verso di lui che sorseggiava la birra, e gli ho detto: “vuoi lavorare? sei sicuro?”. Nel momento stesso che ho detto questa frase,  sapevo che potevo mettermi in un grosso guaio, lui mi ha guardato e mi ha detto: “eh magari”. Avevo una soluzione per salvarlo, forse non era una coincidenza che la sigaretta l’avesse proprio chiesta a me? 

Enrico ora lavora a Torino, nella falegnameria di mio cugino. Ogni tanto ho dovuto raddrizzare un po’ il suo carattere, ma lui  è un tipo che ascolta, si scusa. Ho dovuto convincere Giulio, mio cugino, ad avere pazienza quando Enrico arrivava in ritardo, o proprio non si svegliava. Ma poi messo  a lavorare passava  ore senza fermarsi.  Per questo alla fine l’ha tenuto, e poi  è veramente bravo, non era una bugia la sua che ha le mani sono d’oro.  Ora vive da solo, e ha lasciato l’appartamento dove stava con altre tre persone. Si è anche fidanzato con Cristina,  la badante di mia mamma, brava ragazza viene dalla Giorgia. 

Io dovevo ringraziare il cielo di tutto quello che ho avuto. Il mio studio va a gonfie vele, ma aiutare uno sconosciuto nel bisogno, credo che sia stata fino adesso una delle cose più importanti che ho fatto nella vita. Dei giorni mi domando ancora chi mi ha dato tanto coraggio, poi alzo gli occhi al cielo e dico :”mi hai messo alla prova? Come sono andato?”

E ringrazio di questa occasione che mi è  piombata addosso. Oggi compio  cinquantaquattro  anni, ho  ancora tanta energia da spendere,  e mi sento un uomo migliore. 

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