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Quando Re Baldovino abdicò per non firmare la legge sull’aborto

Le ferme e forti parole del Papa sull’aborto, pronunciate nei giorni scorsi presso lo Stadio Re Baldovino in Belgio, mi hanno fatto tornare alla mente questo scritto, che vi ripropongo, introduttivo del mio libro “Per una nuova generazione di politici cattolici”, edizione Sugarco e dedicato proprio alla persona di Re Baldovino che per me è stata una figura di riferimento nel mio cammino di combattente pro life.

Buona lettura e buona ri-lettura

“Ero ancora molto giovane quando re Baldovino di Belgio, nel 1989, abdicò al suo regno pur di non firmare la legge sull’aborto.

Ero poco esperto in materia per capire il senso della parola abdicare e della parola regnare ma intuii al volo che quell’esempio sarebbe restato per me, giovane appassionato di politica, pietra di riferimento per il mio futuro.

 Scoprii poi col tempo e con lo studio che quello del 1989 fu non un gesto improvviso di un invasato pro life, ma la naturale conseguenza di una fedele e coerente condotta di vita, privata e politica.

Capii col tempo e con lo studio che re Baldovino non ci si improvvisa ed ecco perché, forse, di replicanti ce ne sono in giro pochi.

Figlio del re del Belgio Leopoldo III e della principessa Astrid di Svezia, Baldovino nacque a Bruxelles il 7 settembre del 1930. Sin dall’infanzia la sua vita fu segnata dalla sofferenza a partire da quando, a soli cinque anni, perse la madre in seguito ad un incidente stradale. Leopoldo affidò l’educazione dei tre figli Giuseppina Carlotta, Baldovino e Alberto ad una giovane olandese a cui Baldovino si affezionò profondamente. Nel 1940, all’inizio della guerra, la famiglia reale si rifugiò in Francia, ma, dopo la capitolazione dell’esercito belga, essa dovette fare ritorno in Belgio dove venne tenuta prigioniera dai Tedeschi nel castello di Laeken dal 1940 al 1944. In seguito, Baldovino e il resto della famiglia furono deportati dapprima in Germania e poi in Austria,  dove vennero liberati dagli americani solo nel maggio del  1945. Anche dopo la fine della guerra, le peregrinazioni dei giovani figli del re Leopoldo non conobbero tregua, in quanto il clima politico belga non permetteva al re di riprendere le proprie funzioni. Nel settembre del 1945, egli raggiunse la Svizzera, dove rimarrà con i figli fino al 1950. Tornato in Belgio, un referendum gli accordò una vasta maggioranza favorevole alla ripresa delle prerogative reali, soprattutto da parte delle Fiandre; tuttavia, la Vallonia non era del medesimo avviso e, davanti alle sommosse cruente organizzate contro di lui, Leopoldo, piuttosto che vedere i belgi affrontarsi gravemente per causa sua, preferì nobilmente abdicare in favore del figlio il 16 luglio del 1951. Baldovino divenne così il quinto re dei belgi all’età di ventuno anni e lo stupendo esempio di un re che si sacrifica per il suo popolo rimarrà profondamente impresso nel suo cuore.

Gli anni del regno di Baldovino videro il Belgio impegnato in decisive questioni interne, tra cui la secolare questione che contrapponeva i sostenitori della scuola cattolica a quelli della scuola pubblica e, soprattutto, la progressiva trasformazione del Belgio in uno Stato federale proiettato verso una politica comunitaria europea. Nel 1976, con i fondi raccolti durante i festeggiamenti per il suo venticinquesimo anno di regno, fu istituita la “Fondazione Re Baldovino”, con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita della popolazione sul piano economico, sociale, culturale e scientifico. Sul piano internazionale, Baldovino affrontò e promosse da subito la fondazione della CECA nel 1951 e della CEE nel 1957. Ma vero rivelatore della sua personalità fu il primo viaggio nel Congo, allora colonia belga, nei mesi di maggio e giugno 1955 dove fu accolto da una folla esuberante e traboccante di entusiasmo. Forte di quella manifestazione di calore, Baldovino abbandonò il suo abituale riserbo e, di ritorno in Belgio più fiducioso nelle proprie capacità, iniziò a sfoggiare un sorriso che conquisterà irresistibilmente i suoi compatrioti. Poco tempo dopo questo viaggio, annunciò l’intenzione di accordare l’indipendenza al Congo e il 30 giugno del 1960 assistette personalmente alla cerimonia d’indipendenza a Leopoldville. Quattro anni dopo si recò negli Stati Uniti dove la sua giovinezza ed il suo fascino conquistarono gli americani. Il successo del viaggio fu totale. Nel panorama internazionale, il re Baldovino era già in vita reputato un grande sovrano, tant’è che nel 1960 il re d’Italia Umberto II, che era anche zio di Baldovino in quanto la regina Maria Josè era sorella di Leopoldo III del Belgio (a buon diritto da considerarsi un altro grande sovrano cattolico di primo piano nell’Europa del XX secolo) lo nominò cavaliere dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata, massima onorificenza sabauda. E ancora più significativa in questo senso fu la sua nomina da parte del Papa a cavaliere dell’Ordine Supremo del Cristo, la più alta onorificenza pontificia riservata esclusivamente a quei capi di stato cattolici distintisi per particolari meriti verso la Chiesa e la Santa Sede.

Re Baldovino pregò insistentemente per incontrare la persona giusta con cui condividere la propria vita, e così accadde.  Purtroppo però la felicità di questo matrimonio non fu mai coronata dalla nascita dei pure tanto desiderati figli. Baldovino sapeva che nulla accade se non è voluto da Dio: “Ci siamo interrogati sul senso della nostra sofferenza e, a poco a poco, abbiamo capito che il nostro cuore era più libero per amare tutti i bambini, assolutamente tutti i bambini». A titolo di esempio, è significativo raccontare un episodio: nel 1979, i sovrani ricevettero a Laeken settecento bambini tra cui, in un angolo, c’era un gruppo di bambini handicappati. Ebbene, di quel giorno il re conserverà un ricordo indelebile che così descriverà nelle sue memorie: “Porto un piatto pieno di caramelle ad una piccola che riusciva difficilmente a controllare la sua mano. Con immense difficoltà, riesce ad afferrare una caramella, ma, con mia grande sorpresa, la dà ad un altro bambino. Per un bel po’, senza mai tenersene neppure una, ha distribuito i confetti a tutti i bambini sani che la guardavano sbalorditi […]. Che mistero d’amore in questi esseri fisicamente deformati”.

Al termine di tale insolita udienza, Baldovino pronunciò un discorso da cui trasparì la sua sincera e accorata ansia per un futuro migliore. E’ davvero emozionante sentire come un re, un capo di stato di quel livello sapeva rivolgersi con candore e semplicità a dei bambini: “Il mondo ha bisogno d’amore e di gioia. Voi siete capaci di darli. È presto detto, ma è una cosa molto difficile. Bisogna esercitarsi e ricominciare tutti i giorni. Facendolo, vedrete cambiare le cose attorno a voi. Per esempio, aiutando i vostri genitori, esprimendo loro il vostro affetto, li renderete più felici, darete loro voglia di fare la stessa cosa fra di loro e nei riguardi di altre persone. E così, un po’ alla volta, i rapporti fra la gente diventeranno migliori. Provate, perseverate nello sforzo di amare attraverso gli atti. Non scoraggiatevi mai. Se lo farete, ve lo ripeto, vedrete cambiare perfino la faccia delle persone attorno a voi, e, tutte le sere, proverete nel cuore una grande gioia. Diventate costruttori d’amore”.

La preghiera occupava il primo posto nella composizione dell’orario delle giornate del re ed egli vi si dedicava abitualmente all’inizio della mattinata. La Messa quotidiana era per Baldovino il momento privilegiato della giornata tanto che, in tutti i paesi del mondo in cui lo conduceva la sua carica istituzionale, chiedeva che si trovasse un sacerdote per celebrarla. Baldovino viveva completamente al ritmo della liturgia annotando spesso sull’agenda un pensiero tratto dai testi della Messa. Si accostava regolarmente al sacramento della penitenza e spesso, con la regina, passava un fine settimana di ritiro spirituale. Il colloquio con il Signore, che costituiva la sua preghiera, lo aiutava a porsi in modo veramente cristiano di fronte alle persone che incontrava. Conscio dei limiti che la costituzione imponeva al suo potere (il Belgio, infatti, è una monarchia parlamentare dove il re non può esprimere pubblicamente le sue opinioni senza l’approvazione del parlamento) esercitò un’influenza sulla vita politica più attraverso consigli e avvertimenti che attraverso decisioni. Ma la sincera attenzione alle vicende del suo Paese lo caratterizzò per tutti i suoi quarantadue anni di regno.

Baldovino fu un uomo profondamente credente e tutta la sua vita fu consacrata alla sua fede cristiana e alle sue convinzioni religiose, che non accettò mai di compromettere giungendo anche all’eroico atto per il quale giustamente è passato alla storia. Nel 1989, vista la sua ritrosia a firmare una legislazione favorevole all’aborto approvata dal parlamento, fu temporaneamente esautorato dai poteri regali. Sapendo che avrebbe un giorno dovuto render conto a Dio delle sue decisioni, egli scrisse al primo ministro: “Questo progetto di legge solleva in me un grave problema di coscienza […]. Firmando tale progetto di legge […], giudico che assumerei inevitabilmente una certa corresponsabilità. E questo, non lo posso fare”. Rispondendo alla lettera del re e per uscire dal vicolo cieco in cui si trovava il governo, il primo ministro fece appello ad un articolo della costituzione belga il quale prevede che il re possa, in casi estremi, trovarsi nell’impossibilità di regnare. E il 3 aprile, il consiglio dei ministri costatò che tale impossibilità era più reale che mai. Lo stesso consiglio agì dunque come se non ci fosse più il re e promulgò la legge rifiutata da Baldovino. Ma perché il re fosse reintegrato nelle sue funzioni si rendeva necessario un voto del parlamento; il 5 aprile, avvenne che il successivo voto del parlamento permise a Baldovino di riprendere il suo posto di capo dello Stato.

Non possiamo dire che re Baldovino interferì con la laicità dello Stato: anzi, lasciò che le cose avessero il loro corso ma la sua firma, sotto quella legge, non c’è e non ci sarebbe stata mai.

La legge passò lo stesso, ma lui non la firmò. Vi è differenza? Io credo vi sia una enorme differenza tra l’abdicare, e quindi rischiare di non essere rieletto, ed il firmare trincerandosi dietro il “senso dello Stato” senza tradire i valori in cui credeva.

Anche nel 1534, quando in Inghilterra Enrico VIII impone ai suoi sudditi l’atto di supremazia (con cui si consuma lo scisma dalla Chiesa cattolica) Tommaso Moro (ne parleremo più avanti in questo libro) fu l’unico laico in tutta l’Inghilterra a rifiutare il giuramento. Pagherà con la vita la sua intransigenza, con la decapitazione. In Italia tutti ricordiamo quello che avvenne nel 1978 per la Legge 194 sull’aborto. Mi piace qui, senza voler giudicare il trascorso privato e politico di alcuno, trascrivere quello che le agenzie di stampa riportarono il 22 maggio 2003: “Oggi preferirei dimettermi, che controfirmare quella legge” a firma di Giulio Andreotti, ex presidente del consiglio dei ministri.

Re Baldovino come esempio per una nuova generazione di politici cattolici?

Non lo so, sicuramente lo è stato per me e magari potrebbe anche esserlo per molti altri. Motivo per cui ho voluto iniziare questo libro parlando di lui, personaggio ancora poco conosciuto, personaggio poco studiato forse perché è capace, ancora oggi,  a quasi venti anni dalla sua morte, di interrogare le coscienze dei politici, italiani e non.[1]


 

[1] Per approfondire la vita di re Baldovino consigliamo Card Leon-Joseph Suenens – Re Baldovino. Una vita che ci Parla, SEI editrice,1995.

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