editoriali

Ecco perché é giusto e sano liberare, dalla carcerazione, Renato Vallanzasca

In questi giorni è avvenuto il trasferimento del delinquente Renato Vallanzasca dal carcere di Bollate ad una RSA del Veneto dedicata a persone affette da demenza grave. Questo evento di cronaca ha fatto molto discutere e come spesso accade, l’opinione pubblica si è polarizzata su due fronti opposti: da una parte chi afferma a gran voce il rispetto dei diritti dell’uomo ed in questo caso dell’uomo malato, dall’altro chi recrimina l’assoluta incapacità di pentirsi del soggetto e la sua nota mancanza di pietà.

Anche in casa e tra amici mi è capitato di affrontare la questione e l’ho sempre fatto raccontando questa storia, che è assolutamente vera.

Alcuni anni fa, ricoverammo di notte nel mio reparto di Terapia Intensiva, un uomo italiano che era stato ferito con un coltello da cucina durante l’ennesima lite domestica…solo che quella volta le cose gli erano andate male e mentre lui si avvicinava alla moglie per picchiarla, la figlia circa dodicenne si mise tra i due e difese se stessa più la madre ferendo suo padre. La ragazza stessa chiamò i soccorsi, rimase vicino al padre ferito sincerandosi di non averlo ucciso fino all’arrivo di medico ed infermiere. Il padre venne sottoposto ad un intervento sul polmone sinistro. Rimase in Terapia Intensiva tre giorni poi venne trasferito in Chirurgia Toracica ed infine dimesso. La famiglia venne presa in carico dai servizi e la ragazza trasferita in comunità. Ora, io ricordo perfettamente che la moglie si era presentata nel nostro reparto, spaventata e con evidenti segni di violenze passate, evidentemente mai querelate. Ricordo anche l’immediata presa di posizione del reparto, a tutti noi venne spontaneo empatizzare anzi simpatizzare con le due donne di questa vicenda e non certo con l’uomo-orco.

Ma io avevo un problema e pure bello grosso: quell’uomo aggressivo e colpevole di atti violenti contro due innocenti era anche un mio paziente. Ed io dovevo assisterlo. Anzi io dovevo fare di più: dovevo prendermene cura. Lui peraltro, va detto, non si impegnava tanto nel compito di rendersi un po’ più simpatico: era estremamente richiedente, ogni 15 minuti aveva un bisogno diverso…un po’ di cibo, un goccio d’acqua, un cuscino in più, un cuscino in meno, un potente anti dolorifico…ed io sapevo che avvicinarmi e prenderlo in cura in maniera amorevole sarebbe stata dura…perché avevo chiaro il mio dovere professionale (Ippocrate ci perseguita sempre mannaggia a lui!!!) ma avevo anche chiaro che faticavo a liberarmi dal giudizio. Mi veniva normale immaginare a terra la moglie mentre incassava i calci e mentre nessuno le portava un potente anti dolorifico. Quindi, consapevole dei miei limiti, mi sono giocata la telefonata a casa ossia ho chiamato il mio guru che è professore di filosofia, psicologia, psicoterapia e gli ho spiegato l’empasse in cui mi trovavo. Lui, come sempre, mi ha illuminato la soluzione, ricordo le sue parole “Vale, per quest’uomo devi essere l’alternativa: sii la carezza che non ha mai dato ma che nemmeno ha ricevuto, sii la cura che non ha mai dato ma che nemmeno ha conosciuto, sii la gentilezza che non ha mai usato ma che nemmeno ha mai incontrato. Prova a pensare che tu per lui sei la prima volta e sei l’alternativa. Magari si convertirà oppure no. Tu resta fedele a te stessa, ai tuoi valori e fagli esperire cose a lui sconosciute.” La strategia funzionò, ovviamente non so più nulla di lui ma mi piace pensare che ogni tanto ricorda il mio reparto come un’officina di attenzioni e gesti amorevoli che si possono prendere e mettere in circolo. Comunque io sopravvissi al turno ed ai tre giorni successivi.

Ad oggi Vallanzasca condannato a 4 ergastoli per vicende crudeli e disumane, non è più in grado di intendere e di volere. Non sa nemmeno perché è in carcere. Ha i giorni tutti uguali: ogni ora nell’oblio di non sapere nemmeno a cosa serve un cucchiaio. Da questo punto di vista possiamo quindi dire che se anche resta in carcere, il suo dolore non aumenta perché lui ha perso consapevolezza. In carcere però non ci sarebbero quelle accortezze che gli impedirebbero di vivere l’ultimo periodo della sua vita come uno sfortunato animale: non saprebbe arrivare al bagno, non saprebbe nutrirsi, non saprebbe nemmeno rimettersi a letto dopo una delle tante cadute notturne.

Ora mi chiedo: cosa? Cosa aggiunge un’ulteriore carcerazione a quanto già scontato? Non aggiunge nulla, semmai toglie…toglie dignità, toglie umanità…certo tutte cose che lui non ha visto negli occhi delle sue vittime ma…noi siamo l’alternativa, noi siamo diversi, noi siamo la prima volta. Noi, stato Italiano, riconosciamo il valore della vita umana anche quando sbaglia o è sbagliata, comprendiamo che non esiste peggior carcere della demenza, e soprattutto insegniamo alla sua famiglia, ai suoi complici, a chi lo ha aiutato/affiancato nel delinquere che esiste sempre una alternativa fatta non per forza di perdono ma fatta di cura e amorevolezza autentica…tutte figate ai più ignote…

Valeria Terzi

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