editoriali

Non picchiate chi fa un lavoro difficile

Alzo subito le mani, in questo pezzo c’è un evidente conflitto di interessi. In questo pezzo, per chi mi conosce, è già chiaro quale sarà la parte verso cui mi schiererò.

Una settimana fà, il Pronto Soccorso e il reparto di Chirurgia Toracica dell’Ospedale Riuniti di Foggia sono stati raggiunti da oltre 50 persone tra parenti, amici e conoscenti di una ventitrenne morta in sala operatoria. Gli aggressori hanno invaso gli spazi, distrutto alcune parti comune e picchiato i sanitari che si mettevano sulla loro strada in una richiesta più che gridata di avere giustizia. Quell’ospedale si sa, ha una storia travagliata: messo sotto commissione anti mafia alcuni anni fa, oggi accoglie soprattutto una utenza di famiglie in difficoltà sociale, deluse e frustrate.

Ad oggi, nessuna indagine è partita sul fascicolo sanitario della ragazza, nessun avviso di garanzia è stato consegnato ai medici mentre tre aggressori sono stati individuati e fermati. Alcuni medici ed infermieri sono stati medicati, altri sono stati trasferiti. All’ingresso del pronto soccorso è stato messo un vigilante che fa seguito ad una squadra di carabinieri.  Della vicenda si sa pochissimo, anche ciò che ho scritto pocanzi potrebbe non essere corretto. Ma gli aspetti importanti forse sono al di fuori della mera cronaca.

  1. Iniziamo da una verità scomoda: signore e signori la medicina NON è una scienza esatta. Non è nemmeno una scienza forte. La matematica, la chimica e la fisica sono scienze esatte e per questo dette forti. Loro si lasciano imbrigliare in regole sempre corrette e sempre immutabili. La medicina invece è una scienza inesatta e per questo si dice morbida. Come la filosofia. E sapete perché? Perché ha a che fare con l’uomo che muta nel corso dei secoli (infatti anche l’antropologia è morbida): l’uomo ha un corpo magnificamente complicato, l’uomo si ammala e troppe volte non si sa nemmeno perché (la maggior parte dei tumori), l’uomo muore per colpa di un virus invisibile all’occhio nudo. La medicina non è una scienza esatta. Ed allora cosa è? E’ una scienza probabilistica. Lo so fa paura, fa tremare le gambe (soprattutto a noi del mestiere) ma quando abbiamo davanti un malato che soffre in pronto soccorso e che ci porta segni più sintomi, noi cerchiamo di mettere tutto insieme, da ciò che vediamo a ciò che ci viene raccontato e poi, alla fine, scommettiamo su una diagnosi. Esattamente, scommettiamo sulla più probabile. Ma le diagnosi possibili possono essere più di una ed allora cosa facciamo? Monetina? Certo che no: allora ricoveriamo, non molliamo, chiediamo altri esami, cerchiamo meglio, illuminiamo ogni aspetto fino a raggiungere in molti casi alla diagnosi corretta. Parte del nostro lavoro si chiama “fare diagnosi differenziale”. E non è una parte facile perché richiede tempo e spesso i pazienti sono spaventati dal concedertelo, perché richiede fiducia e spesso i parenti non ce la riconoscono volentieri, perché richiede di fare una serie di conti biologici (“è giusto sottoporre un ragazzo di 12 anni ad una tac con tutto il carico di radiazioni che questo comporta?”), fare conti monetari (“questo esame quanto costa a tutta la comunità in termini di tasse?) e fare conti etici (“ davvero sono sulla strada utile ed appropriata oppure la signora di 100 anni può morire nel suo letto anche senza l’ennesima eco cardiografia per embolia polmonare massiva?”)
  2. altro aspetto, ma non andiamo tanto lontano: il nostro lavoro, cioè il lavoro sanitario in un ospedale pubblico soprattutto nei reparti per acuti, è un lavoro difficile e pesante. E’ difficile perché l’uomo è complesso e ci sono tante cose che sfuggono: alcuni malati tardano a venire in pronto soccorso per auto sabotarsi e complicano la loro sopravvivenza (ho visto morire un ventiquatrenne di appendicite perché è rimasto sette giorni a casa con evidente peritonite), altri malati hanno grandi fragilità e questo sarà sempre più vero in una popolazione che invecchia (quando un uomo di ottantanni cade dal secondo piano è tutto molto difficile), altri malati ancora riescono a farsi un gran male con le droghe e la guida (ormai la maggior parte dei pazienti vittime di trauma della strada sono intossicati da sostanze). Il nostro è davvero un lavoro complesso: incannuliamo vene, monitorizziamo arterie, scegliamo antibiotici, innestiamo chemioterapici, massaggiamo cuori, realizziamo interventi complessi e soprattutto…salviamo vite. Tante. Ogni giorno. Nel silenzio. Senza far sapere che i nostri stipendi non riescono nemmeno lontanamente a tenere il passo con la vita di oggi. Senza far sapere che studiamo ogni giorno della nostra vita. Senza far sapere che prima della notte e dopo la notte lavoriamo comunque per carenza di personale. Senza far sapere che i nostri figli ci guardano e ci chiedono “quando ti rivedrò la prossima volta?”. Senza far sapere che da qualche anno stiamo cercando di diffondere l’amore e la cultura per la comunicazione empatica e l’attenzione per la bioetica. Abbiamo scelto il lavoro più bello del mondo ma il costo è alto: notti insonni a chiederci se si è fermata l’emorragia di Eleonora, se è arrivata la famiglia di Yang al suo capezzale, se Angela ha superato l’ennesima sepsi…ed in quelle notti facciamo il conto con il limite. Il limite dell’impotenza. Il limite delle cose che non si possono cambiare, delle malattie inguaribili, delle morti inattese. Limite di cui non abbiamo colpa alcuna. Colpa sarebbe far finta di non avere limiti da incontrare
  3. per ultimo: la bega legale. Quando un’indagine parte in medicina, lo fa sempre in ambito penale, il che è un assurdo perché tranne pochissimi casi che la cronaca ricorda in cui medici ed infermieri si sono macchiati di colpa gravissima (imperizia, imprudenza, negligenza), mettere la medicina sotto lo scacco del penale vuol dire in un certo senso ipotizzare che ci sia la volontà di far male. Invece quando qualcosa va storto, nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di fatalità, si tratta di incidenti, si tratta di imprevisti, soprattutto si tratta di complicanze per manovre difficili. Davvero c’è qualcuno che crede sia facile intubare un motociclista a mezzanotte in autostrada, sdraiata con lui sotto un tir? Davvero c’è qualcuno che crede sia semplice operare con un robot? Davvero c’è qualcuno che crede sia facile aprire un torace, massaggiare un cuore, togliere il proiettile rimettere il cuore dentro e farlo ripartire? Ma scendiamo di scenograficità: davvero c’è qualcuno che crede sia semplice dire ad una coppia che il bimbo in arrivo avrà gravi malformazioni? Davvero c’è qualcuno che crede sia semplice avvicinarsi ad un cucciolo di tre anni, farsi ben volere e ridurgli la frattura di polso? Davvero c’è qualcuno che pensa sia semplice fare un prelievo di sangue ad un anziano in RSA che aspetta solo di morire? Quando qualcosa si complica, lo so il dazio da pagare spesso è altissimo, ma tale complicanza non è mai desiderata. Noi siamo i primi a soffrire se qualcosa va male. Non c’è mai dolo. Non può esserci.

Per concludere, noi abbiamo scelto il lavoro più bello del mondo (lo so l’ho già detto ma mi piace ripeterlo) ma abbiamo bisogno della fiducia del cittadino. Abbiamo bisogno che il cittadino apra gli occhi e veda, anzi meglio che guardi: cure gratuite per tutti, turni massacranti, innovazioni spettacolari, dedizione massima, sacrifici personali, emicranie ogni giorno, stipendi ridicoli, studi infiniti. E poi esistono anche altre cose che non si vedranno mai: le nostre lacrime versate e le nostre carezze dispensate.

Valeria Terzi

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