La Maestra Sofia è salita sulla cattedra più alta
ADDIO, SOFIA! – Un incontro ti salva la vita, un incontro ti rovina la vita. Occhio, dunque. Quel che siamo oggi – nel bene e nel male- è il risultato di persone conosciute, insegnamenti ricevuti, esperienze fatte. Non si smette mai di imparare. Davvero “gli esami non finiscono mai”. Notte in bianco, quella tra sabato e domenica, accanto a una donna che si va spegnendo. Non è una persona qualsiasi, e anche se non mi legano ad essa vincoli di sangue, ha avuto nella mia vita una importanza fondamentale. È stata lei, infatti, che mi ha insegnato a leggere e a scrivere. Come per tutti i bambini del mio paese, in casa e tra noi si parlava in napoletano, cosa, questa che ci penalizzava non poco a scuola.
Ed ecco, che lei, la cara signora Sofia, scendere in campo, e per insegnarci la storia, prima ci racconta il fatterello come se fosse accaduto ieri; poi, dopo essersi convinta che avessimo davvero compreso, si faceva seria, e passava a insegnare che cosa, dove, perché, quando erano accaduti quegli eventi. E come ridirli in italiano. Nessun nostro genitore si sarebbe sognato di contraddire la maestra. Guai a noi se a casa provavamo a lamentarci di lei. La complicità tra loro era totale. Un ottimo connubio tra genitori e maestri che ha dato buoni frutti. Insegnare non è ripetere stancamente cose imparate prima. È passione, convinzione, amore per il proprio lavoro, e, soprattutto, per chi ti sta davanti. È intravedere in ognuno di quei volti di bambini, l’uomo che sarà domani. È capire che una parola – una sola parola – detta con garbo, magari accompagnata da una carezza, può ridare a chi è convinto di dover mollare la forza di sperare ancora.
Alla maestra Sofia, debbo tanto. Figlio di genitori analfabeti, ma intelligenti e onesti fino a farsi male, da lei ho ereditato il gusto per lo studio. Ormai anziana e malata, ma sempre lucida, ironica, buona e disponibile con tuti. Ho avuto la grazia di rimanerle accanto, insieme alla famiglia, durante l’agonia. Avevo compreso che era per lei l’ultima notte in questo mondo, la più terribile, la più importante, la più misteriosa. La più vera. E la maestra, grande come sempre, ha fatto il suo dovere fino in fondo. Se negli anni passati ha insegnato con la parola, con le opere, con l’esempio, stavolta sapeva di dover fare un passo in più. E non si è tirata indietro. Doveva insegnare con la sua stessa vita. Ed eccola, mentre esercita per noi il suo altissimo magistero.
Eccola salire sulla cattedra più alta. Eccola strappare come una guerriera gli ultimi respiri a una vita dedicata alla famiglia, agli amici, alla scuola, alla fede. Per i figli è terribilmente doloroso assistere impotenti all’agonia della propria mamma. I corti circuiti, però, non sono ammessi. Il calice deve essere bevuto fino in fondo. Sono momenti di una importanza estrema. Nulla deve andare perduto di quei lunghissimi, interminabili, estenuanti momenti. Il chicco deve marcire per produrre la spiga. Nulla deve essere sprecato. Occorre raccogliere i pezzi avanzati. Come sono piccole le cose, come stupidamente inutili i risentimenti. Odi, gelosie, invidie, guerre, orgogli, avarizie, prepotenze? Ma di che parlate? Che dite? In discorso vi imbarcate? Lentamente si ritorna neonati, privati finanche della parola e della volontà. Occorre bagnare le labbra screpolate, asciugare il sudore, sistemare la testa sul cuscino. Occorrono mani pietose e cuori grandi. Lacrime sincere e amici veri. Davide le sussurra all’orecchio: «Nessuna paura, nonna… Siamo tutti qui… tranquilla, lo sai, ti vogliamo tutti bene…».
Caro, caro Davide non sa, non può sapere che la nonna gli sta, ci sta, facendo l’ultimo regalo. Sta dicendo a tutti: «E adesso, ragazzi, se davvero avete imparato la lezione, mettetela in pratica… vi siete accorti che solo dell’amore hanno bisogno gli uomini? E che solo dall’amore di un Dio folle, potevano essere salvati? Promettetemi di non dimenticarlo mai…».
Alle prime luci dell’alba di domenica scorsa, Sofia ha restituito a Dio il respiro che le riempi i polmoni al momento della nascita. Emozione fortissima. Commozione. Lacrime. Poi: «Ora lascia, Signore, che la tua serva vada in pace secondo la tua parola… Venite santi di Dio, accorrete angeli del Signore…».
Funerali. Mi ritorna in mente “La morte del cardellino” di Guido Gozzano. Tita, un bambino, in giardino, piange mentre sotterra il suo cardellino. Dalla finestra il poeta lo vede, e commosso, canta: «Ben io vorrei sentire sulla fossa della mia pace il pianto di un bimbo. Piccolo morto, la tua morte è bella». Maestra Sofia, la tua morte è bella per che bella è stata la tua vita.
Maurizio Patriciello