Caterina Benincasa era Santa Caterina da Siena
Caterina Benincasa aveva una testa invidiabile e la sicurezza per non mandarle a dire a nessuno.
Sapiente in misura eccezionale, capace di un’oratoria impressionante, eppure non aveva studiato alla Bocconi, e nemmeno a Oxford, anzi non aveva studiato per niente.
Era cresciuta ignorante, nel suo destino c’era per volere paterno il matrimonio precocissimo al compimento dei suoi dodici anni. Matrimonio cui lei dice no, manco per scherzo, avendo già chiaro a chi appartenere. È da quando ha sette anni che Caterina si promette a Cristo, da lì non torna più indietro. Per stroncare meglio le fantasie dei suoi genitori si taglia i capelli, si chiude in casa, si cala il velo davanti al viso, svolge i lavori più umili in aiuto alla mamma accettando la punizione del padre. Ma non molla.
Una ribelle coi fiocchi, ma di più: una innamorata di Cristo senza compromessi.
Il mondo pensasse ciò che vuole di lei e della sua stranezza, a Caterina importa zero. E il padre, stupefatto dalla presenza di una colomba sospesa in volo sulla figlia in preghiera, la lascia finalmente andare.
A sedici anni veste l’abito delle mantellate, cioè diventa terziaria domenicana: resta nel mondo in castità povertà obbedienza.
Mangia l’essenziale, sta sempre coi poveri e gli ammalati, pacifica la gente in lotta, e intanto ha visioni estasi bilocazioni e compie guarigioni inspiegabili.
Un coraggio indomito, un’incredibile sapienza infusa, una relazione con Dio totalizzante che non la rendeva schiava, ma sposa pienamente padrona di sé.
Questo era santa Caterina da Siena.
Una che ce ne vorrebbero a chilate, perlomeno per ogni sciapo talk show televisivo, dove fanno passare le donne per oche giulive senza speranza. Di una come Caterina basterebbe non la parola ma solo lo sguardo, per rendere manifesta la differenza tra le donne che mettono fuoco in tutto il mondo, e quelle che no.