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Caivano, la stesa, il bene da continuare a fare

LA STESA – Tu non sai che cosa vuol dire trovarsi all’interno di una “stesa”. Tu, come me, come tutti, non sapresti che decisione prendere, quando senti il cuore scoppiarti in petto per il terrore di essere ammazzato dai colpi di una mitraglietta stupida e assassina che spara all’impazzata. Tu non saprai mai – ma non ne hai colpa – quante eternità duri un solo minuto di queste folli imprese.

Domenica,10 settembre. A Caivano, dopo i fatti dei giorni scorsi, lentamente, faticosamente, si riprende il cammino. In parrocchia si respira un leggerissimo alito di festa. Dieci bambini fanno la Prima Comunione. Arrivano in chiesa col vestitino bianco e il giglio in mano, accompagnati dai genitori e dai parenti. Sono emozionati e felici.

Lo sono anch’io. Il prete vive il riflesso delle gioie e dei dolori altrui. Mi lascio andare a questo momento di letizia. Ne ho il diritto. La Messa ha inizio. I bambini vengono chiamati per nome e, come Maria, rispondono il loro tenero “eccomi”. La giornata continua. Una sorta di cauta normalità sembra essere scesa sul nostro quartiere. Ringrazio Dio. È sera. Dopo l’ultima Messa, faccio ritorno a casa. Ho ancora da pregare il vespro, cenare, leggere e rispondere ai tanti messaggi che mia arrivano attraverso i social, “la mia parrocchia online”.

Per fare un po’ di bene abbiamo solo l’imbarazzo della scelta. Ovunque ci voltiamo scorgiamo qualcuno che ha bisogno di una parola di conforto, un pezzo di pane, un po’ di compagnia. No, tempo per la noia noi cristiani proprio non ne abbiamo. E questo è tra i regali più belli e importanti che il Signore ha voluto farci, essendo la noia tra i nemici più pericolosi e subdoli dell’uomo.

Manca poco più di un’ora alla mezzanotte. La televisione è spenta, non voglio disperdere le emozioni belle della giornata, ho bisogno di rimanere in silenzio, da solo, a pensare, riflettere, pregare.

Accade. Ancora una volta accade. Arrivano alla velocità del lampo a bordo di potenti moto. Con i volti coperti e le armi pesanti in pugno. Come folli, attraversano i viali del quartiere sparando all’impazzata. La gente si chiude in casa. Chi sta per strada si imbatte nell’orribile ghigno della morte. È il terrore. Luigi è uscito sul balcone a fumare. Impazzisce dalla paura. Si getta a terra. Attimi interminabili. Pericolosissimi. Puoi morire così, trafitto da un proiettile, senza che nemmeno te ne accorgi. Puoi finire su una sedia a rotelle per il resto della vita. Puoi perdere il figlio o la donna che ami da un momento all’altro.

Una stesa. La terza in pochi giorni. A ridosso della visita che la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni ha voluto farci, rispondendo a un mio invito. Una stesa per tappare la bocca alla gente, lanciare segnali, incutere paura. Una stesa che va letta e interpretata. Non sempre è facile. Che cosa stia accadendo nessuno saprebbe dirlo con assoluta certezza. Gli inquirenti lavorano, raccolgono testimonianze, ma non tutti hanno voglia di parlare. E non sempre per omertà, in questo quartiere, in questo paese, con queste persone bisogna pur conviverci. Le chiavi di lettura, quindi, possono essere diverse.

La prima: i clan della camorra, si sentono stanati, messi alle strette e, dunque, sfidano lo Stato. Se è vero che «al Parco Verde lo Stato non c’è» come ha recentemente detto il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, evidentemente il ritorno dello Stato incute paura. Potremmo altresì trovarci di fronte a una guerra intestina, tra i diversi clan della camorra, che si contendono la zona e il maledetto commercio della droga.

Comunque sia, la stesa di domenica sera ci scaraventa, ancora una volta, in un clima di paura e di angoscia. Ma non possiamo arrenderci. Non ne abbiamo il diritto. Bisogna andare avanti, chiamare a raccolta i buoni – chiunque siano, ovunque si trovino – e proseguire il cammino. Certo, ci sono giorni in cui la speranza risplende come una fiaccola accesa. E giorni, come questi, in cui occorre andare a scovarla negli anfratti più nascosti. Ma guai a perderla di vista. Padre Pino Puglisi, prega per noi.

Maurizio Patriciello.

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