La beatificazione dell’intera famiglia Ulma
Santa Romana Chiesa proclamerà domenica 10 settembre la beatificazione della famiglia polacca Ulma, sterminata nel 1944 a Markowa, comune rurale polacco del distretto di Łańcut, nel voivodato della Precarpazia. Si tratta di un avvenimento straordinario per due ragioni: per la prima volta nella Storia della Chiesa sarà beatificata un’intera famiglia allo stesso tempo e per la prima volta sarà beatificato un bambino non ancora nato, dunque per questa creaturina, secondo la Chiesa, non è previsto il limbo, bensì il Paradiso in virtù del martirio che ha subito.
Il predicatore e scrittore Padre Serafino Tognetti della Comunità dei Figli di Dio da tempo segue con un’attenzione sofferente e molto particolare il tema del sacrificio dei bambini uccisi nel ventre materno con l’aborto, una tragedia immane che riguarda fiumi di sangue innocente versato. Il monaco sacerdote ebbe a dire il 18 marzo 2018 durante una sua catechesi sul tema “La potenza di san Giuseppe”: «Abbiamo trovato un documento firmato da Ratzinger, quando ancora era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, nel quale affrontò il discorso del limbo. Egli scrisse: è possibile che un bambino di tre/quattro settimane di vita possa esprimere un atto volontario? E il prefetto dichiarò che la Chiesa non ha mai negato il fatto che i bambini nel grembo materno possano compiere un atto di coscienza».
Ebbene, non è questo il momento e il luogo idonei per soffermarsi su questa tematica così profonda e delicata, ma per il caso del bambino ucciso in odium fidei si può affermare con certezza che egli morì come i Santi Innocenti di Betlemme, periti per volontà di re Erode.
Don Witold Burda, postulatore della Causa di beatificazione e sacerdote dell’Arcidiocesi di Przemyśl dei Latini, ha affermato a Radio Vaticana – Vatican News il 21 dicembre 2022: «La Chiesa è piena di argomenti teologici che ci hanno aiutato, per dimostrare ai teologi del Dicastero delle Cause dei Santi, che, anche quel bimbo non nato, senza battesimo né nome, può̀ essere considerato martire per la fede di Cristo».
Ma andiamo con ordine. I membri della contadina famiglia Ulma sono conosciuti come “I samaritani di Markowa”, in quanto, mossi dal comandamento evangelico dell’amore per Dio e per il prossimo, furono trucidati dai nazisti per aver dato rifugio a otto ebrei durante la sistematica deportazione verso i campi di concentramento di questo popolo. Da allora ogni anno migliaia di pellegrini si recano alla loro tomba ed ora saranno innalzati all’onore degli altari nell’ex luogo di residenza di famiglia, a Markowa, nell’Arcidiocesi di Przemyśl, con una celebrazione presieduta dal cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero per le Cause dei Santi, e proprio in questo paese è presente un monumento che ricorda il loro sacrificio.
La cristiana famiglia viveva in questo villaggio posto nel sud-est della Polonia ed era composta dal padre Józef di 44 anni, dalla madre Wiktoria di 32 anni e da sette figli: Stasia di 7 anni, Basia di 6 anni, Władziu di 5 anni, Franio di 4 anni, Antoś di 3 anni, Marysia di 2 anni e dal piccolo custodito nel grembo materno. Un giorno decisero di nascondere nella loro casa otto ebrei, fra cui anche dei minori, e questa fu la loro condanna a morte.
Una voce delatoria arrivò ai nazisti e così il 24 marzo 1944 la dimora degli Ulma fu accerchiata e immediatamente vennero uccisi tutti gli ebrei presenti nel solaio; mentre Józef e Wiktoria furono portati fuori dalla casa e freddati davanti ai loro figli e a diversi abitanti del luogo, costretti ad assistere a quell’orrore, poi fu la volta degli spari diretti a tutti i sei bambini. La scrittrice polacca Maria Elżbieta Szulikowska, che ha dedicato una biografia a Wiktoria Ulma, dopo un pellegrinaggio sulla tomba della famiglia nel cimitero parrocchiale di Markowa, ha scritto di lei in una poesia: «Il suo sguardo luminoso potrebbe fare invidia alle femministe». A rendere questa storia per il momento unica nel suo genere è la decisione relativa alla beatificazione anche del nono Ulma. Tale questione, vista la sua complessità e gravità, è stata sottoposta durante l’iter del processo di beatificazione, iniziato nel 2003, ad una lunga e scrupolosa analisi, partendo dalle testimonianze raccolte nel corso del tempo. A confermare che Wiktoria quando morì era in attesa di un bimbo, sono stati coloro che, alcuni mesi dopo l’eccidio, diedero una bara per ciascuna delle vittime. Riesumandole si constatò che il piccolo era parzialmente uscito dalla madre assassinata ed era morto al mondo con lei. La Chiesa definisce questa situazione “Battesimo del sangue”, versato dalla mamma, ma anche dalla sua creatura in odio alla fede.
Pertanto, il 10 settembre avremo un martire senza nome, ma con il cognome paterno della sua famiglia e realmente martire per mano dell’odio verso Cristo e verso i suoi testimoni.
Speriamo che questo “inedito” – il bimbo che vide la luce divina prima di quella terrena – possa far meditare molti sulla strage dei milioni di innocenti del nostro tempo che barbaramente vengono uccisi (per volontà di madri/padri e delle nefande leggi statali) se non in odio alla fede, sicuramente in odio alla vita umana, che per i credenti è sacra, perché dono di Dio Creatore.