A Messa, come ogni sera, anche questa sera, un piccolo gruppo di persone…
SULL’ALTARE – Sull’Altare, come ogni sera, per stendere le mani sull’Ostia bianca e sul calice del vino. Come ogni sera, anche stasera, ho la pretesa di scomodare Dio. Non sempre la fame di quel Pane benedetto è tanta, a volte è appena percettibile, altre volte ancora sembra mancare del tutto. Ma Lui non ci bada. E viene.
Il pensiero che in tante parti del mondo, milioni di sorelle e fratelli vorrebbero partecipare alla Messa ma non possono, mi martella il cuore con insistenza. Mi sembra di vederli. Mi appaiono come quei bambini malnutriti nei Paesi in guerra che si aggirano con la scodella vuota in mano. E la tendono verso coloro che dovrebbero provvedere a sfamarli, ma – ahimè! – non possono. E la scodella è destinata a rimanere desolatamente vuota.
Che importa se sei nato al di là dell’Oceano, delle Alpi o degli Urali? La sete è la stessa. Sete di senso, di pienezza, di eternità. Sete di Dio. Stesse domande. A Messa, come ogni sera, anche questa sera, un piccolo gruppo di persone. Fortunati? Privilegiati? Penso all’Amazzonia, alle sterminate foreste, ai milioni di abitanti. E la Chiesa, la nostra Chiesa, mi appare ancora più bella, radicata su una Roccia che nessuno si è inventata; in maestoso equilibrio tra forze diverse, pensieri diversi, culture diverse, economie diverse, santità diverse.
Così diversi, gli uomini di Chiesa, eppure una cosa sola. Il miracolo è questo. L’essere uniti è la grande sfida. Non a caso ce l’ha chiesta Gesù. Ut unum sint. Che siano una cosa sola.
L’unità commuove anche i più distratti. È giusto che ci siano idee diverse; è umano, oserei dire, divino. Vuol dire che la Chiesa ha a cuore la libertà. È giusto argomentare, confrontarsi, dialogare. Ma quando, alla fine, la Chiesa parla, si esprime, noi dobbiamo tacere, per meglio ascoltare, meglio imparare, meglio interiorizzare.
Non importa se quel che dice ci convince, non importa se il nostro amor proprio è soddisfatto o umiliato, non importa se non è stato recepito nemmeno uno iota del nostro lavoro. Fa niente, la Chiesa vede più lontano di noi.
Alla Chiesa, non a noi, fu promessa la guida dello Spirito. Santa Chiesa che come una campana antica canta felice un giorno e il giorno dopo geme. Croce e resurrezione indissolubilmente unite.
Prima della Pasqua c’è la Parasceve. Una giornata cupa, fredda, dolorosa. Misteriosa oltre ogni dire. Un senso di angoscia ti raggiunge, ti afferra, ti piega. Hai paura. Un vuoto dentro che chiede di essere colmato, desiderio di nascondere le ore e non attraversarle.
Un giorno interminabile, il Venerdì Santo. Un tempo che potrebbe essere un’era, prima del Grande Giorno della risurrezione.
Sull’Altare, la grazia mi ha condotto anche questa sera. E’ vero, per capire c’è bisogno degli opposti. Nel buio, desideri la luce, nel freddo, il tepore del calduccio, quando sei solo, implori la presenza di un amico.
Chi siamo noi per avere avuto in sorte tanta grazia? Chi siamo perché ogni giorno, in questa antica e supponente terra d’ Europa, possiamo saziarci del Dio nascosto? “ E’ piccola un’ostia e basta per un Dio” scriveva don Primo Mazzolari. Da impazzire.
Vivere in comunione. C’è chi semina e chi raccoglie, chi innaffia e chi estirpa le erbacce. A noi il Pane appena consacrato, a voi i frutti del Sacramento celebrato. Non è utopia. Questa “alchimia” divina si chiama comunione. Dio è comunione. Addirittura è possibile realizzarla con i morti. Io lavoro, tu passa a ritirar la paga. Facciamo la nostra parte.
Non dimentichiamo i fratelli più lontani, più bisognosi. Non sprechiamo il pane, non banalizziamo la fede. Non dimentichiamo le missioni. Noi non siamo l’ombelico del mondo. Siamo solo stati più fortunati.
Chi può andare, vada, corra senza indugi a servire Dio nei fratelli più poveri. E chi, per età, salute, limiti vari, non può, non si scoraggi, non alzi bandiera bianca. Sulle ali della preghiera ci ritroveremo tutti. Accorciamo le distanze. Quelle geografiche e quelle esistenziali. Umiltà, ascolto, preghiera. Giustizia, pace, condivisione. Amore, amore, amore. A Dio e ai fratelli.
Padre Maurizio Patriciello.