Il Cammino – un racconto di Benedetta Bindi
“Il guerriero che crede nel suo cammino, non ha bisogno di dimostrare che quello degli altri è sbagliato.” – PAULO COELHO
Avevo iniziato a digiunare, per cambiare il mio atteggiamento verso gli altri, verso la vita. Mi sentivo sbagliata, come un esercizio venuto male. Io ero qualcosa da cancellare. Prima divoravo tutto, non ero mai sazia: di emozioni, belle vacanze, vesti firmati. Preoccupata oltre ogni limite, della mia immagine, fino all’ossessione. È brutta la vita davanti allo specchio. Con lui dovevo essere perfetta. C’erano quelle dei quartieri bene nei locali che frequentavamo, volevo competere con loro, dovevo, per non perderlo. Addolcivo la voce, non gesticolavo, non dicevo troppe parolacce, insomma mi tenevo. Però quando Alessandro mi ha lasciato, ho smesso di mangiare. Ho deciso di non accumulare più niente per me stessa, perché tanto tutto finisce, e su da Lui mica ci vai con tanti vestiti, il fidanzato giusto, le unghie appena fatte, non porti nulla.
Il parroco l’ha ribadito al funerale di Lucio, in cielo non si porta nient’altro che la nostra anima. Il mio amico, il mio migliore amico, mi ha lasciato un giorno di febbraio. Era martedì grasso, mi è arrivata la notizia , una chiamata al telefonino da sua madre, mentre mi vestivo da coniglietta, per andare a una festa. Lucio era l’opposto di Alessandro, il primo vissuto avendo niente, l’altro avendo tutto, anzi troppo. Una delle assurdità di questo mondo senza equilibrio. I genitori di Lucio non si occupavano mai di lui, lo lasciavano spesso da solo. Forse non né colpa loro, sono due anime disperate, che hanno avuto un’infanzia che lo era altrettanto. Lui ha iniziato a bucarsi quando mi sono fidanzata. Quando uscivamo insieme era pulito, non fumava nemmeno. Io studiavo o uscivo con il mio ragazzo, tempo per Lucio non ne avevo più, e lui ha sofferto di nuovo la solitudine, quella che io con la mia presenza gli portavo via. Lo vedevo sotto casa come mi guardava, tutto storto su un muretto, fumava mentre io salivo nella macchinetta di Alessandro, imbellettata come una Regina. Sapevo che Lucio si era appiccicato a un tipo, un certo Alfredo che faceva furtarelli. Lo criticavo, lui mi diceva che era simpatico, e ci faceva solo due chiacchere con quel ragazzo che pesa novanta chili. Con lui invece credevo avesse iniziato a bucarsi.
Un giorno sono andata a cercarlo Alfredo, era in piazzetta seduto su motorino. Avevo nel volto tanta disperazione che gli ho fatto paura. Alfredo mi guardava
con due occhi sgranati e mi ha giurato che l’eroina lui la odia, poi mi ha detto: “ Ma nun vedi quanto so grasso, quelli che se fanno sono secchi, ar massimo tiro nà botta, ogni tanto”. Mi ha detto che Lucio si bucava con una tizia delle giostre. L’ha chiamata la zozza, pare la “dava” a tutti per pochi euro. Lei l’ha rimbambito. Nel periodo di Natale c’era stato un piccolo luna park, non distante dal quartiere. È probabile che Lucio abbia iniziato a bucarsi con la bella del tirassegno, solo perché cercava affetto. Lui era fatto così, se si affezionava a qualcuno faceva di tutto per quella persona, anche gettarsi da un ponte. Magari fosse cresciuto in una famiglia per bene, come quella del mio ex fidanzato, seguitissimo dai genitori, dai nonni, forse ora sarebbe ancora qui. A Lucio mancava l’amore, mica i vestiti, le feste, la macchinetta, o la droga. Sono stata malissimo per mesi, per fortuna era ancora fidanzata quando è morto, tutta la gioia che accumulavo con il mio ragazzo, mandava via il vuoto che Lucio andandosene mi ha lasciato. Poi quando Alessandro ha detto che tra noi era finita, allora sì che ho capito quanto l’assenza del mio
amico faceva male.
Ricordo il suo modo di camminare lento, i suoi pantaloni sempre calati, in quel corpo lungo e magro. La vita per lui era così pesante che gli gravava sulle spalle, rendendolo curvo come un vecchio, anche se era giovane. Io gli ripetevo sempre di stare dritto, ma lui mi sorrideva con i suoi occhi grandi, melanconici. Avrei voluto scambiare per un giorno la sua vita, con la mia. Volevo fargli provare come si sta a essere felici. Io ero innamorata persa, ho passato mesi con un sorriso stampato sulle labbra e gli occhi che mi brillavano, anche a scuola. Il prete al funerale di Lucio ha letto un passo del Vangelo, diceva: ”Ero affamato mi hai dato da mangiare, ero senza tetto e mi hai dato una casa, ero ammalato e sei venuto a trovarmi….”. Io ascoltavo attenta, e devo dire che in quel momento mi sono detta: “ Ora avrà tutto quello che qui gli mancava in vita il mio Lucio”. Poi mesi dopo mi sono presi i dubbi, e mi sono detta che le parole lette dal prete erano balle, per fare stare bene quelli che rimangono in questo brutto mondo. Ho buttato via il rosario che mi ha regalato mia mamma, rosso e profumato di rose preso a Cascia, nel bidone sotto casa, insieme a due bracciali che mi aveva regalato Alessandro. Poi l’altro giorno è successa una cosa.
Camminavo lentamente, primo perché non mangiando non avevo più le forze, mia mamma mi riempiva il piatto, ma quando non mi vedeva sputavo tutto nel tovagliolo. In realtà volevo sputare la mia vita, perché mi faceva schifo. Insomma passeggiavo lenta quando girovagando per il mio quartiere, che mica è come passeggiare per il centro di Roma, no, magari. Tanti casermoni, e viali lunghi, lunghissimi, e desolati. Quando ho notato a sinistra di una via, un edificio di legno
celeste, come quelle casette che disegnavo alle elementari. Entro e mi trovo davanti un crocifisso grande. Mi avvicino, primo perché faceva caldo, ero stanca, e mi volevo riposare. Secondo perché lui pareva guardarmi. Erano le cinque di pomeriggio, eravamo io, il caldo torrido, e quell’uomo sulla croce che soffriva più di me. Mi avvicino, decido di inginocchiarmi e gli parlo. Gli ho detto chiaro e tondo che avevo perso un amico, un fidanzato, le sue amiche che erano diventate anche le mie, mi avevano tradito e che proprio una di loro mi aveva potato via l’uomo. Le compagne di classe che ho ignorato per mesi, non volevano più saperne di me. Insomma dopo avergli raccontato tutta la mia dannata situazione, e lui sospeso trattenuto da due funi in aria, mi guardava dall’alto, gli ho detto: “ Dio se tu non mi deludi, io a te non ti lascio più, farò qualsiasi cosa, ma fai entrare nella mia vita qualcuno che mi voglia bene, uno solo per sempre. Posso vivere con due vestiti, andare in autobus, ma ho bisogno di qualcuno con cui condividere le mie giornate, non ne posso più. Ne ho bisogno adesso”. Dopo ho pianto, tanto, tantissimo. Per Lucio, per Alessandro, per i miei sbagli, tanti, troppi. Poi qualcuno è entrato, mi sono asciugata il volto e sono uscita. Mi era venuta una fame, sono andata in gelateria e ho preso un bel cono. C’era un ragazzo nuovo a lavorare, bello come il sole. Aveva dei ricci biondi, e la bocca grande come piace a me. Mi è venuta voglia di parlarci. Ogni tanto entrava un cliente, io mi arrestavo e poi continuavo a parlare con lui, anche se avevo finito il mio cono.
Sono tornata ogni giorno in gelateria, per due settimane di fila. Anche quello mi ha aiutato a ingrassare. Domani lo rivedo Lorenzo, si chiama così quel ragazzo che a me con due euro, fa coni da quattro strizzando l’occhio. Andiamo al cinema insieme. Mi ha invitato lui, abbiamo scoperto che abbiamo la stessa passione, per i pop corn al caramello, davanti ad un film d’azione. Io ho ripreso a mangiare, e mi sento serena. Non ho più voglia della discoteca, ne del ristorante alla moda, ne di tutti quei vestiti. Io vivo con mia mamma e basta, da tre anni. Lei finisce tardi di staccare dal supermercato dove lavora, così io ho ripreso a cucinare, come facevo molto tempo fa. C’è una bellezza straordinaria nel fare del bene agli altri, come quando cucinavo per Lucio. Ho trascurato il mio amico per Alessandro, e anche mia madre. Mio padre l’ha lasciata tre anni fa, lei non l’ha presa bene, ne soffre ancora. Io invece di starle accanto, ho pensato solo a me. Ero diventata superficiale davanti al dolore, preoccupata solo dell’immagine del mio benessere. Alcune volte penso che se fossi stata più vicino a Lucio, ora sarebbe con me.
Quando mi sale l’angoscia e affondo in questi domande, corro in quella chiesetta celeste e prego. Forse tutti noi viviamo con la colpa di tutto il bene che non abbiamo fatto, e avremmo potuto. Io non mi chiuderò più in un labirinto. Ora ho in mente dove voglio andare, e sopporterò anche la stanchezza del cammino. Vado a cucinare il pollo alle mandorle, una mia specialità, mia madre ne va matta. Quel pomeriggio assolato mentre passeggiavo lentamente, Lui mi cercava, prima che io facessi il primo passo e entrassi in chiesa. Lui ci anticipa sempre, e ci trova per primo.
Benedetta Bindi