La speranza che cura: oltre l’eutanasia, il diritto di vivere fino all’ultimo respiro
Lo scorso 4 aprile, l’Università Europea di Roma ha ospitato un convegno dal titolo “La speranza cura. Quale diritto nella malattia inguaribile?”. Un tema più che mai attuale, in un’epoca segnata da guerre e trasformazioni sociali, ma anche da un preoccupante slittamento verso la legalizzazione dell’eutanasia.
Il cardinale Matteo Zuppi ha posto una domanda cruciale: “Esiste davvero un ‘diritto alla speranza’?”. E ha risposto con fermezza: “Sì, ed è un diritto che nasce dalle relazioni umane, dalla vicinanza, dalla solidarietà. Nessuno dovrebbe mai essere lasciato solo”.
Ha poi aggiunto: “Quando un malato terminale o un paziente cronico grave riceve un accompagnamento umano, partecipativo e amorevole, percepisce questa vicinanza. Persino nelle circostanze più dure, se una persona si sente amata e rispettata, l’ombra dell’eutanasia svanisce. Perché il valore di un essere umano non si misura in base alla sua produttività, ma alla sua capacità di amare e di essere amato. Questa è la vera speranza, e tutti vi hanno diritto. È una terapia integrale, che si nutre di relazione e cura”.
La deriva mondiale: quando le leggi tradiscono l’uomo
La tendenza a spingere per l’eutanasia e il suicidio assistito è sempre più evidente. Persino l’ONU – di solito non schierato su posizioni pro-life – ha denunciato la preoccupante situazione in Canada, dove si sta normalizzando l’accesso alla morte medicalmente assistita per disabili e persino per i cosiddetti “minori maturi”.
Queste non sono leggi progressiste, ma leggi contro l’uomo.
La risposta della vita: storie che ispirano
Eppure, di fronte a queste spinte mortifere, ci sono persone che dimostrano come la vita, anche nella sofferenza, possa ancora essere piena di significato.
Come Doug Ruch, 55 anni, malato di cancro al quarto stadio, con soli 18 mesi di aspettativa di vita. Di fronte alla diagnosi, ha scelto di non arrendersi: “Ho due opzioni: stare a casa ad aspettare la morte, oppure uscire e vivere”. Così, ha deciso di dedicare il tempo che gli resta ad aiutare gli altri, servendo pasti ai senzatetto, agli anziani e ai malati in tutti e 50 gli Stati americani.
La speranza è anche questo: vivere fino all’ultimo respiro, amando e donando se stessi.
Perché la vera cura non è accelerare la fine, ma accompagnare con amore.
