Dove sei, Dio? La Settimana Santa di chi lotta tra fede e disperazione
LITIGARE CON DIO – Oggi è la Domenica delle Palme, porta d’ ingresso della Settimana Santa. Ci prepariamo a rivivere le ultime, drammatiche, per certi aspetti, incomprensibili, ore della vita di Gesù. Il telefono squilla. L’amico che mi cerca non parla, singhiozza. La camorra gli ha rovinato la vita. Era un giovane imprenditore di successo, intelligente, onesto, con larghe vedute. Poi arrivarono i camorristi vigliacchi, e con loro il pizzo, le estorsioni, la paura, le minacce, le botte, la morte intravista da lontano. In una parola, la persecuzione. Luigi, finalmente, trovò il coraggio e – benché sconsigliato da tanti -, denunciò. Processi, avvocati, attese estenuanti in tribunale, la paura di essere ucciso, la scorta.
La burocrazia asettica, lunga, farraginosa; le verità processuali che non sempre collimano con la semplice verità. In una parola, la vita stravolta. Gli anni passano. A 50 anni, Luigi, si ritrova a fare i conti con sé stesso, la sua storia, la terra che ama e detesta. È stanco. Il benessere antico è ormai un ricordo. “Ho sbagliato tutto, padre, ho sbagliato tutto… chi me lo ha fatto fare?” mi dice piangendo. Taccio. Sono arrabbiato anch’io. Conosco la sua storia. Ho detto e scritto tante volte che, nel momento in cui un testimone o anche un semplice collaboratore di giustizia, si sente abbandonato dallo Stato, arrivando a dire: «Se potessi ritornare indietro non lo rifarei», l’Italia sta facendo un autogol. A coloro che hanno avuto la forza e il coraggio di denunciare, debbono essere assicurate le migliori attenzioni. Ahimè, non sempre accade.
Mi sovviene don Primo Mazzolari, il prete lombardo che tanto mi affascina, morto nel 1959, proprio il 12 di aprile. Ricordo che, a Bozzolo, ebbi modo di sedere alla sua scrivania e di sfogliare i suoi diari. Don Primo, che tanto ebbe a soffrire da parte del fascismo e della Chiesa, in un momento di grande sconforto, il 28 gennaio del 1959, con mano nervosa buttava giù delle parole che pesano come un macigno: «Io non sono contento di Dio, né di Cristo, né della Chiesa, molto meno dei preti». Una vera picconata in testa per i credenti. Ne parlavo con gli amici di “Avvenire”, a Milano, pochi giorni fa. Francesco, a sorpresa, mi chiese: «E tu? Lo hai pensato mai?» la domanda mi colse impreparato. Difficile rispondere.
Eppure, se non avessi il terrore di scandalizzare i semplici, se trovassi il coraggio di scendere dentro di me fino a farmi male, dovrei rispondere: «Si, l’ho pensato, ma non l’ho detto. Nei giorni in cui Dio sembra che dorma; quando le stupide guerre infuriano e gli uomini – creati a sua immagine – si fanno belve bugiarde e vigliacche, l’ho pensato; quando centinaia di neonati vengono stuprati da certi miei fratelli in umanità, l’ho pensato; quando, nelle campagne di San Giuseppe Jato, sono sceso nel puzzolente e gelido bunker, dove, dopo una disumana prigionia di 779 giorni, due giovani mafiosi strangolarono e sciolsero nell’acido, a soli sedici anni, l’innocente Giuseppe Di Matteo, l’ho pensato. Quando leggo che ogni anno, più di 40 milioni di bambini non ancora nati finiscono nella fogna perché così hanno deciso coloro che nella stessa fogna non furono gettati, l’ho pensato. Non poche volte la mia preghiera si è trasformata in un grido di dolore, di ribellione, rasentando, forse, la blasfemia.
Non lo so, Francesco, non lo so, ma credo che arrivi per chiunque volga lo sguardo verso il cielo, il momento in cui Dio ti appare distante, lontano, gelido. E tu ti tormenti. Sono i giorni in cui la preghiera non ti dà nessuna consolazione. Bussi, ma la porta rimane sigillata. Chiedi, ma nessuno ti risponde. Cerchi, ma non trovi. Litighi con lui. Lo ami e lo temi. Che cos’è? La notte oscura di cui hanno parlato i santi? Chissà, ma io santo non sono. Allora? Allora capisci che sei entrato nella dinamica della fede, nella trottola del chiaroscuro, nel gioco di Dio che, si rivela mentre si nasconde. Ma anche che si fa trovare dove meno te lo aspetti.
Sono quelli i giorni in cui il credente si sveste degli abiti puliti della domenica e accetta di ingoiare la polvere sotto la dura croce». Pochi giorni dopo aver scritto quelle durissime parole – siamo al 2 febbraio – Mazzolari viene ricevuto, insieme a un gruppo di preti lombardi, in udienza da Giovanni XXIII. Silenzio, emozione. Il Papa buono arriva, volge lo sguardo intorno, lo riconosce, lo fissa, gli sorride, e, meravigliando tutti, esclama: «Ecco la tromba dello Spirito Santo in terra mantovana». Don Primo barcolla. Tromba dello Spirito Santo?
Quindi, non più eretico, disobbediente? Ma è proprio vero? Uscendo da quella sala benedetta, il mio confratello, con gli occhi lucidi, farfuglia: «Ho dimenticato tutto, ho dimenticato tutto». La carezza della Chiesa che ha tanto amato e servito, arriva prima della morte che lo coglierà poche settimane dopo. Oggi, Domenica delle Palme, vediamo Gesù osannato e applaudito dalle folle. Ancora pochi giorni e lo vedremo addolorato, triste, reietto, sanguinante, pendere dalla croce.
Cristo non ha scherzato a fare l’uomo. Calunniato e odiato dai contemporanei, abbandonato e incompreso da parenti e amici, soffre. Il momento culminante del suo martirio, però, lo sperimenterà quando si accorge che anche suo padre sembra averlo ripudiato. È terribile la Settimana Santa. La Croce che ci salva ha oppresso Gesù e opprime noi. Coraggio, però. Spingiamo lo sguardo oltre. La luce della resurrezione, che già brilla all’orizzonte, ha vinto la battaglia contro le tenebre del male, del dolore, di ogni morte.
Padre Maurizio Patriciello.
