Il ritorno del Parroco – un racconto di Giorgio Gibertini
Dieci anni. Tanto era passato da quando avevo lasciato questa parrocchia, il luogo dove avevo mosso i primi passi da sacerdote. Ora ero tornato, invitato per una festa, e il cuore mi batteva forte mentre varcavo la soglia della chiesa. L’odore dell’incenso, il riflesso delle candele, le voci familiari che mi salutavano con affetto: tutto era rimasto impresso nella mia memoria come se il tempo non fosse mai trascorso.
Strette di mano, abbracci, sorrisi. “Padre, che gioia rivederla!” dicevano. Ed era vero, la gioia era immensa. Notai che alcuni fedeli occupavano ancora gli stessi posti di sempre: il signor Giulio in terza fila a sinistra, la famiglia Conti accanto alla statua della Madonna, le signore del Rosario ai primi banchi. Quella fedeltà mi commuoveva.
Salito sull’ambone di San Lino per proclamare il Vangelo, presi un respiro profondo e guardai la comunità. “Che bello rivedervi. Vedo che alcuni di voi sono ancora al loro posto, come sempre. È rassicurante vedere che certe cose non cambiano. Eppure, qualcosa cambia sempre…”.
Fu allora che mi accorsi di un’assenza. Il sesto banco a destra era vuoto. Quel banco era sempre stato il posto di Alba, una donna dal sorriso gentile e dalla fede incrollabile. Al termine della Messa, chiesi notizie al nuovo parroco. Mi rispose con un tono velato di tristezza: “Alba è mancata un anno fa. I suoi figli, purtroppo, non vengono più in chiesa da allora”.
Quella notizia mi colpì nel profondo.
Dopo la Messa, rimasi. Camminai per le strade che conoscevo a memoria, finché non bussai alla sua vecchia casa. Il marito mi aprì, gli occhi gonfi di una tristezza che non aveva ancora trovato pace. I figli – Marco, il maggiore, ora con la barba incolta; Giulia, che era una ragazzina e ora aveva lo sguardo sfuggente di chi ha smesso di credere – mi accolsero con un imbarazzo che faceva male.
“Vostra madre era una roccia nella fede, ma soprattutto nell’amore. Sapete cosa diceva sempre? Che la speranza non muore mai, neanche nei momenti più bui”.
Rimanemmo a lungo insieme, parlando, ricordando, condividendo. Prima di andarmene, li invitai a tornare, senza forzature, solo per sentire ancora quel calore che una volta li aveva accolti.
Durante la mia visita in parrocchia, incontrai anche altri volti noti: il sagrestano Marco, che con il suo sorriso bonario mi raccontò come la comunità fosse cambiata negli anni, e la catechista Anna, che ora accompagnava i figli alla Messa con la stessa passione con cui un tempo insegnava il catechismo. Anche il giovane Andrea, che dieci anni prima era un chierichetto un po’ distratto, ora sedeva tra i lettori con una Bibbia tra le mani. Il tempo passava, ma la fede trovava sempre nuovi modi per farsi strada.
Quando uscii, il sole stava tramontando. Un raggio di luce attraversò la finestra della canonica, creando un riflesso dorato sul marciapiede. Mi voltai verso la chiesa e notai che, proprio il sesto banco a destra, era illuminato da quel bagliore. Sorrisi. Era come se Alba volesse dire ai suoi cari che non li aveva mai lasciati e che mandava quel raggio per riscaldarli ancora una volta.
La fede può sembrare spegnersi, ma basta un piccolo gesto per riaccenderla. E a volte, quel gesto arriva proprio da chi non c’è più, ma continua a vegliare su di noi.
