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La vita dove non te l’aspetti

Lo ammetto: fare l’eroina in Africa è decisamente più divertente che andare a trovare la nonna in casa di riposo o in RSA come dico sempre io (che sembra meno brutto). Andare in Africa, fare volontariato in ambulanza, organizzare formazione in paese, aiutare Emergency, seguire i canili…è mille volte più bello, entusiasmante e “vetrina” rispetto ad andare a fare compagnia ad una nonnetta con la demenza che vive circondata da nonnette con la demenza. E poi dentro le RSA, appena apri la porta, c’è quell’odore inconfondibile di vita che si ferma, di pulito che fatica, di gioia che muore…e ti viene voglia di guardare l’orologio sperando che qualcuno ti sbatta fuori…anzi, speri di riuscire a comportarti così male che qualcuno della vigilanza sia costretto a cacciarti…ma siccome l’educazione vince, a tutti noi, ogni tanto capita di dover andare in RSA e di rimanerci un paio d’ore. Dopo un paio d’ore di solito le infermiere ti dicono che c’è qualcosa per cui i parenti non sono più graditi: il pranzo, la tombola, il bagno…secondo me, ci sbattono fuori perché non ci sopportano, in un certo senso rompiamo la loro routine arrivando con la nostra ansia di performance, con le nostre corse, con i nostri appuntamenti ed orari da rispettare…secondo me ci mandano via perché ci considerano discretamente malati…noi…

Comunque, io ho fatto capitare venerdì di finire in RSA dalla nonnetta: un giorno di recupero ore, troppo brutto il meteo per andare a sciare per cui, salto sulla jeep e raggiungo i nonni in Emilia. Il nonno ha 96 anni, guida, balla, zappa, direi autonomo ed arzillo, la nonna ha 92 anni e per via della demenza e dei pericoli che questa cosa comporta, vive in RSA a 5 km dal nonno da tre anni. Il nonno la va a trovare ogni giorno e per ore intere, le tiene la mano, la pettina, la bacia, la guarda innamorato come 70 anni fa. In casa di riposo sono chiamati Romeo e Giulietta (scopro che tutti hanno un soprannome, bella questa cosa, fa famiglia).

E quel giorno, mi becco uno shampoo di umiltà, mica male…arriviamo nell’ora in cui Narcisa, la bravissima educatrice e fisioterapista prova a far giocare gli ospiti (suona più dolce che pazienti) con la palla. Venti anziani, seduti sulle poltrone, all’apparenze con la mente altrove, appena sentono che la palla rimbalza si animano. Ed ecco che gli occhi si accendono, gli sguardi si fanno vispi. Siamo in cerchio, pure io ed il nonno, Narcisa al centro che lancia la palla delicata e puntuale ad ognuno degli anziani e quei corpi che sembravano inanimati ma soprattutto disinteressati a tutto, prendono vitalità. E’ un attimo, tutti sorridono, tutti tendono le braccia, Narcisa è una cechina precisa: la palla finisce sempre in braccio all’anziano che ha di fronte. Si ride, si scherza. Poi si passa ad un altro gioco: un coperchio di cartone con una buco al centro, lo scopo è portare delle palline nel buco muovendo ed inclinando solo i lati. Si gioca in 4. Mi viene un’idea: facciamo uomini contro donne. Tutti sorridono. Lo prendo come un segno di incoraggiamento. Io ed il nonno tifiamo per le nostre squadre di genere. Mia nonna allunga la mano, bara e mette le palline nel buco. Ride come una matta…altro che demente…questa è furba. Tifiamo, ridiamo così tanto che Narcisa si avvicina e mi dice “Dottoressa saranno mica troppe tutte queste emozioni?” ed io pronta “Narcisa questi cuori non si fermeranno oggi, promesso…vuoi una birra???”

Poco dopo, ancora in cerchio, si alza Marcello: un professore di matematica che ha girato il mondo come musicoterapista alleviando le sofferenze in tante comunità. Prende la chitarra, tutti lo guardano, è la prima volta dopo decenni. Nessuno ha paura che possa fallire: fallire è non tentare. Marcello muove le dita sulle corde, arrivano i suoni, i più belli mai ascoltati. Altro applauso di gruppo che poi vuol dire altra ginnastica, dal deltoide agli estensori delle dita delle mani.

Poi Giuseppe, il nuovo arrivato, minaccia di scappare, in silenzio, apre la porta e cerca di andare a casa con il pigiama ed il catetere vescicale. Narcisa si spaventa, io corro, lo placco ma arriva l’ausiliaria che di solito porta l’acqua a tutti e mi dice “Grazie, ci penso io”. Prende Giuseppe, lo fa accomodare su un divano, gli parla in maniera dolcissima, lui aspetta. Sempre la stessa ausiliaria prende una nonnetta sulla sedia a rotelle, la mette vicino a Giuseppe. E lui si calma del tutto. Resta li fermo per ore. L’ausiliaria, vedendo il mio punto di domanda sulla faccia mi dice “Mica si conoscono ma lui crede che sia la sua adorata moglie, lei non parla, si fanno compagnia in silenzio e non scappano”. Perfetto direi. Una nuova amica al posto della Quetiapina o dello Xanax.

Io ed il nonno decidiamo di andare a casa: portarci via queste emozioni e questi ricordi è il modo migliore per congedarsi…fino a domani. Prima di salire in macchina, mio nonno mi guarda e mi chiede “O bambina, starai mica pensando di iscriverti alla specialità di Geriatria???”.

Poi guido, oltre due ore, verso casa, verso Milano e non faccio che pensare a quei vecchietti, alla nostra arroganza, alla nostra superbia, alla nostra superficialità. Con arroganza pensiamo siano ormai “andati”, con superbia li riteniamo inutili, con superficialità li guardiamo appena. Ma soprattutto con presunzione pensiamo di sapere cosa sia il loro bene e ci trinceriamo dietro ad un “io al suo posto vorrei morire”…ma chi lo ha detto che soffrono? Chi lo ha detto che in realtà non siano loro i maestri capaci di insegnare l’arte dello scendere a patti. Già perché noi questo non lo sappiamo fare. Se possiamo andare in vacanza, non ci basta una settimana. Se abbiamo una casa di proprietà, non ci possiamo stare senza il box. Se ci serve un cellulare, non va bene quello dello scorso anno. E mi chiedo se…nei libri di Geriatria potrei trovare le risposte…oltre che la vita, proprio dove non te l’aspetti…

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