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Scendiamo dal Papa: quaranta giorni con Francesco come vicino di casa

Lo confesso. Il mio pensiero è stato: “Se avessi un nonno quasi novantenne ricoverato con polmonite, non sarei per nulla ottimista”. E infatti ero pessimista: vederlo affacciarsi dal Gemelli mi sembrava un sogno quasi irrealizzabile. Quando seppi della prima crisi respiratoria, durante questo lungo ricovero, dissi a mio figlio: “Scendiamo dal Papa, forse sta morendo”.

“Scendiamo”: perché per circa quaranta giorni – una sua Quaresima anticipata, per fortuna non trasformata in Calvario – il Papa è stato davanti a casa mia. Abito proprio di fronte al Gemelli, all’altezza di quelle finestre con le serrande quasi sempre chiuse, tranne quando serve il “Vaticano II”, il reparto riservato ai suoi ricoveri.

In quelle settimane, le serrande le ho viste spesso socchiuse, a volte illuminate fino a tarda sera o già all’alba. Avrei preferito non doverle osservare, perché avrebbe significato che stava bene e “a casa sua”. Ma avere il Papa come vicino di casa, dormire accanto alla sua finestra, è stata un’emozione incredibile.

Quel sabato sera, la notizia della crisi respiratoria mi colpì come un pugno. Un brivido improvviso, la necessità urgente di andare sotto la sua finestra. Un “Àlzati e cammina” facile, per me: bastò prendere l’ascensore e fare pochi passi. Ma fu un gesto dettato dal cuore.

Quando, dopo qualche minuto, mi ritrovai lì con poche altre persone a pregare insieme a Irene, la mia compagna, realizzai una cosa incredibile: in tre anni che ci conoscevamo, era la prima volta che pregavamo insieme. E questo piccolo miracolo era accaduto grazie a Papa Francesco.

Sabato sera tardi 22 marzo siamo rientrati a casa dopo una settimana che eravamo stati fuori Roma. Coincidenza ha voluto che potessimo rientrare giusto in tempo per salutare il suo affaccio e poi la sua uscita dall’Ospedale, e questa volta lo abbiamo fatto dalla nostra terrazza. Quel sogno che la mia poca fede aveva dubitato potesse realizzarsi, era realtà.

Gianluca Lonardo

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