La strada da percorrere – un racconto di Benedetta Bindi
Luca era tanto che non lo vedevo, un anno circa, da quando era partito per l’Africa, dopo la Laurea in medicina.
Si era fatto crescere la barba, aveva sempre gli occhi intelligenti e brillanti, e quel sorriso un pò puerile.
Mi sono sentita subito bene a chiacchierare con lui, mi era mancato. Contemporaneamente provavo un’involontaria tensione, dovuta al ricordo di quel bacio che ci eravamo scambiati alla festa di un’amica, poco prima della sua partenza per la Florida. Solo lunghe email nelle quali mi comunicava come gli andavano le cose, senza mai accennare a noi.
Mi è sempre bastato un suo sguardo, per capire se quello che dicevo su qualcosa lo condividesse, una certa sua particolare fisionomia un tantino sprezzante, e mi mordevo la lingua dalla rabbia, per non aver detto ciò che desideravo.
Sono stata innamorata di lui in segreto, fingendomi una sua amica per tanto tempo, troppo.
Lui mi ha sempre interrogata guardandomi negli occhi, e il suo sguardo ha sempre scavato da me quel pensiero che lui desiderava.
Poi è partito, ed io sono rientrata in me stessa, cioè ho ripreso a pensare con la mia testa, e mi sono fidanzata.
Però appena Luca è tornato in Italia, le cose hanno preso una brutta piega, e mi sono ritrovata a pensare a lui continuamente. Lo ascoltavo rapita dire, che nella vita esiste una sola felicità individuabile: vivere per gli altri.
Bastava solo vederlo arrivare con il suo motorino mezzo scassato, sorridermi mettendo il cavalletto, che tutto intorno a me si animava.
Mi sentivo con lo stesso identico tormento per lui, che provavo prima della sua partenza. Quando tutti noi amici eravamo seduti al bar, avrei voluto rimanere ore a quel tavolino di alluminio, per non dissipare quell’atmosfera che respiravo avendolo vicino. Poi guardavo la mia mano, e l’anello che Paolo mi aveva regalato, e mi dicevo: ”Claudia basta, lascia perdere”.
Un venerdì sera dopo aver lavorato mi sono fermata a prendere l’aperitivo con Jenny, poi come d’abitudine sono arrivati gli altri amici. Ad un certo punto era quasi l’ora di cena e Luca non c’era. Ero ancora più turbata di un tempo, perché quel turbamento non mi colmava più di gioia: mi spaventava.
Quando la mia amica mi ha domandato: “ma Luca non viene?”, guardandomi con un sorriso ammiccante, io sono arrossita, e mi sono messa a cercare l’accendino nella borsa. Mentre quello che cercavo di trovare era un tono spensierato nella voce, e le ho detto: “non saprei”.
Poco dopo lui si è presentato in bicicletta, con un caschetto ridicolo in testa. Parlava con i suoi amici, ma in ogni suo movimento, in ogni suo sguardo, io vedevo che lui provava qualcosa per me.
Si fingeva freddo, quando tutto era già così chiaro e non capivo perché non mi dicesse niente, io pensavo solo con quanta facilità avremmo potuto essere felici, fino al limite dell’impossibile.
Dopo l’aperitivo mi sono diretta alla mia auto, parcheggiata a dieci minuti dal bar, proprio sotto il mio studio. A quel punto Luca mi ha chiesto dove andavo, e mi ha detto: “ti accompagno”. Abbiamo camminato piano, lui diceva che non sapeva quando sarebbe rimasto a Roma, che aveva già alcune offerte all’estero. Io pensavo: “perchè parla di tutte queste difficoltà, perché perde tempo d’oro che non tornerà più. Perché non arrossisce e abbassa gli occhi davanti a me, ed io allora gli dirò come mi sento da anni?” Ma poi mi è venuto il dubbio, io amavo anche Paolo, non dovevo buttare tutto all’aria per lui.
Ci siamo salutati davanti alla mia macchina con un semplice ciao, e per una settimana non l’ho più visto. Poi una sera dopo un’uscita in discoteca tutti insieme, l’ho riportato a casa perché a lui si era rotta la moto. Nell’abitacolo della mia auto, sotto al suo portone mi ha detto: “Claudia tu ancora non hai vissuto, sei stata anni a studiare e ora sei chiusa in uno studio legale tutto il giorno, tra poco ti sposerai con questo notaio di Ferrara, e farai dei figli. Farai la settimana bianca, e trascorrerai le ferie all’Argentario.Tu, forse, penserai che la felicità è tutta qui, ma sei diversa, dubito che tutto questo ti possa bastare”.
Mi aspettavo altre parole, e nervosamente gli ho risposto: “Questo cosa? Essere felice? Avere un marito? dei figli? Fare un lavoro per il quale ho studiato tanto? Sì questo a me può bastare!!!”
Non sapevo da dove mi era uscita tanta rabbia, e avevo voglia di piangere.
”Questo è quello che ti pare adesso, ma per te è poca cosa. Mi piaci proprio perché in te vedo altro, del potenziale. Non sei solo un bell’appartamento ai Parioli, abiti eleganti, e la scuola americana per i tuoi figli. Nell’organizzazione umanitaria dove andrò a lavorare cercano avvocati, mi sono informato, pensaci…”.
Io non ho risposto nulla. Poi mi è accaduto qualcosa di strano, ho cessato di vedere ciò che mi stava intorno, poi la sua faccia mi è scomparsa, e soltanto i suoi occhi nocciola brillavano: ho avuto la sensazione che i suoi occhi fossero me.
Ho dovuto strizzarli per strapparmi dalle palpebre il suo sguardo.
Luca ha ripreso a parlare: “Claudia io ho orrore per quel genere di vita che vedo fare agli altri. Io ho passato quattro estati di fila in Africa, anche in zone dove c’è la guerra, è lì che voglio andare, c’è tanto da fare, tante persone da aiutare. Vivere a Roma, è limitante, vorrei farti scoprire cosa c’è fuori di qui”. Mi guardava e mi ha afferrato entrambe le braccia.
Io stavo per cedere, per dirgli portami via con te, poi una voce interiore mi ha detto di non farlo. Gli ho detto: “Io non sono come te! Io non sono una copia di ciò che tu provi, desideri, è accaduto per anni Luca, ma non adesso, non più. I miei mi hanno aperto un mutuo che pago ogni mese, lavoro in uno studio dove mi trovo benissimo, e ho una persona acconto perbene, che mi ama”
Lui ha lasciato la presa, sentivo il calore delle sue mani su di me, le aveva strette parecchio, ha solo detto: ”ok” ed è andato via .
Da quel giorno non ci siamo trovati più così bene quando stavamo insieme. Appena un discorso cadeva sulla sua prossima partenza in Congo, i nostri sguardi si sfuggivano, e guardarci l’un l’altro era d’impaccio: come se entrambi sentivamo l’abisso che ci separava e temessimo di avvicinarci a quel punto.
Luca è partito, e io sono rimasta. Questa è la storia.
Lui è tornato d’estate, quando io mi trovavo sempre con i miei figli al mare. Abbiamo avuto due gemelli con Paolo: Cristina e Davide, hanno dieci anni.
Non è stato facile quando Luca è andato via. Ero in :”awumbuk”, una parola del popolo della nuova guinea, per descrivere la sensazione di vuoto e malinconia, che lascia una persona importante quando esce dalla nostra vita.
Per colmare questa assenza gli abitanti di Baining, compiono un rituale: quando la persona si allontana, riempiono una bacinella d’acqua, che cattura tutta l’energia negativa. Il giorno dopo buttano l’acqua, con tutti i sentimenti negativi, e la vita va avanti.
Questo ho fatto io, ho buttato l’acqua e sono andata avanti! Con i miei dubbi, e con la mia fede in Dio.
A mio modo anch’io aiuto le persone, difendo i miei clienti con ardore, e sono felice quando a udienza vinta loro mi stringono la mano felici. Ognuno a questo mondo dà un contributo agli altri come può.
Mi capita di pensare a Luca, quando sento una canzone che a lui piaceva, o mangio il suo dolce preferito, o in liberia vedo un libro che so che a lui piacerebbe.
Ma non ho rimpianti: osservo i miei figli crescere, mio marito addormentato sul divano dopo un giorno di lavoro, e ho la piena certezza che questa è la vita che mi merito.
