Flow – Una Odissea senza umani che parla di noi
Flow è il bellissimo, sorprendente e indipendente film d’animazione appena candidato agli Oscar sia come Miglior film d’animazione che come Miglior film straniero, opera del talentuoso trentenne regista, sceneggiatore e animatore lettone Gints Zilbalodis, già autore di Away (2019). Ha già vinto il Golden Globe 2025 come miglior film animato ed è passato quasi inosservato quando è uscito in Italia a novembre dello scorso anno ma ora è tornato nelle sale con una nuova occasione per essere scoperto e apprezzato.
La storia è semplice e stupefacente: nel mondo è accaduto un disastro ambientale e la Terra è sommersa da un’enorme inondazione. Un gatto, piccolo, solo ed impaurito, è costretto ad abbandonare la sua vecchia vita ed inizia un viaggio surreale imbarcandosi su una scialuppa dove incontra e si allea con altri animali (un capibara, un lemure, una gru e un labrador) formando una comunità che naviga attraverso un mondo trasformato, affrontando ostacoli e pericoli. Non però una lotta per la sopravvivenza raccontata con tinte drammatiche, ma piuttosto un percorso di collaborazione, di reciproco aiuto e comprensione.
Nel panorama dell’animazione contemporanea, dominato da storie sempre più legate alla realtà umana o a visioni apocalittiche e distopiche del futuro, Flow si distingue per essere lontano da certe retoriche stucchevoli alla Disney o alla Pixar e per un’assenza significativa: l’umanità. Non ci sono persone, non ci sono parole, non c’è un mondo da ricostruire né una società in rovina da condannare. Eppure, il film di Gints Zilbalodis è forse uno dei racconti più profondamente umani dell’ultimo anno.
L’assenza di dialoghi non è solo una scelta stilistica, ma diventa il cuore pulsante del film. La comunicazione avviene attraverso gesti, sguardi e movimenti, dimostrando che l’empatia non ha bisogno di parole per manifestarsi. Ogni creatura, pur appartenendo a una specie diversa, trova nell’altro un compagno di viaggio, ribaltando l’idea di una natura crudele e spietata.
Esteticamente, Flow è pura ed elegante poesia visiva, un’esperienza ipnotica e profondamente immersiva come dichiarato dallo stesso regista: “Volevo che il pubblico si sentisse come il gatto protagonista del film. Ho usato perciò le inquadrature e la macchina da presa come strumento narrativo, anche perché non c’è dialogo. Non volevo pormi a distanza come narratore né che il pubblico si sentisse un semplice osservatore, ma che fosse lì e seguisse la storia da dentro. Tutto inizia dal gatto. Inizio sempre dai personaggi principali e ho capito che volevo raccontare la storia di un gatto terrorizzato dall’acqua che trova il modo di superare la sua paura. Una storia potenzialmente universale, anche senza dialoghi”.
Le sue ambientazioni sembrano sospese in un tempo indefinito, tra acque che si estendono all’infinito e paesaggi onirici che evocano una dimensione quasi spirituale. Il ritmo meditativo della narrazione amplifica il senso di immersione, lasciando allo spettatore il compito di interpretare le dinamiche e i rapporti tra i personaggi.
Flow è una testimonianza di come il cinema possa raccontare storie universali senza bisogno di linguaggi convenzionali. Non ci sono facili condanne dell’umanità, né narrazioni cariche di pessimismo. Anzi, nel film si avverte un senso di eternità: il pianeta trova un nuovo equilibrio senza di noi, ma non c’è giudizio, solo un’osservazione silenziosa di ciò che resta. Le tracce del passato — città sommerse, case abbandonate, un letto ancora intatto — suggeriscono una storia ormai conclusa, mentre la natura prosegue il suo corso.
Un film che non parla di noi, e proprio per questo riesce a parlarci in modo autentico parlando alla fine anche di noi. Perché in fondo tutti siamo quel gatto che deve superare le proprie paure e vivere l’avventura della vita collaborando con gli altri.
Andate a vederlo, andateci con i vostri figli, immergetevi in questa magnifica storia che parla al cuore in mille modi.
Vi lascio qui il trailer
#sebastianoalicata
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