Da quando sei partito – un racconto di Benedetta Bindi
A volte mi manchi così tanto che credo di non farcela. Poi ce la faccio, però mi manchi lo stesso.
(Charles Bukowski)
Mesi fa ho sognato Leonardo e il suo nuovo appartamento. Lui si è trasferito a vivere a Bologna, è andato a fare uno stage nella ditta di suo zio. Io ho sempre avuto un debole per lui, anche se una parte di me diceva che era solo simpatia per un ragazzo divertente, ottimista e rumoroso.
La sua leggerezza ha smorzato sempre la mia melanconia, che con il passare degli anni è aumentata, insieme alla consapevolezza dei problemi del mondo. Averlo accanto mi è diventato necessario,
Io sono bionda, con gli occhi chiari, da vera svedese come mia madre, attiro l’attenzione, e a lui è sempre piaciuto proteggermi se qualcuno faceva lo scemo con me.
Non ho mai avuto il coraggio di dirlo a nessuno che Leonardo, per me, non era un amico, nemmeno a me stessa. Come un pompiere attento, spegnevo il primo fuoco appena divampava in me, fino a quando l’acqua mi è mancata.
È accaduto una notte, lui era partito da mesi e l’ho sognato.
Da svegli possiamo razionalizzare tutto, è dormendo che appaiano le verità che soffochiamo.
Ho vivo in me ogni dettaglio del sogno. Andavo a trovarlo nel suo nuovo appartamento, mi apriva la porta sorridendomi, come se mi aspettasse da sempre. Poi mi sedevo su un divano grande di pelle rossa. Lo guardavo di spalle mentre mi preparava il caffè.
Immaginavo donne belle, con gambe magre, stivali alti, gioielli minimal, che erano state lì con lui, che avevano abbracciato la sua schiena solida, e ho sentito dentro di me un dolore, era come avere un serpente che mangiava qualsiasi cosa trovasse: fegato, milza, fino arrivare al cuore.
Poi Leonardo mi portava una tazzina fumante, si sedeva alla mia destra, ma non mi guardava. Io sorseggiavo il caffè, ma sentivo le mani tremare, poi ho visto un elastico per capelli nero sul tavolo davanti al divano, e ho urlato come una matta : “di chi è?!!”
Lui mi ha guardato, ed è rimasto zitto.
Non era tanto la gelosia che in quel momento mi faceva male ma il dispiacere nel sapere quanto ero facilmente sostituibile!
Fortunatamente il telefono ha suonato, erano le sette e avevo lezione all’università.
Sono scesa di corsa dal letto, come a voler cacciare sotto le coperte quell’incubo, mischiato a quell’irrefrenabile desiderio di lui.
Negli ultimi mesi sua sorella, che conosco da anni, mi ha chiamato spesso, e poi alla fine si parlava sempre di suo fratello. Mi raccontava di come se la cavava nell’azienda dello zio. Mi diceva allegra: “Leonardo occupa tutto lo spazio della casa quando è presente, ora ci mancano le sue battute, i suoi scherzi, la sua confusione”. Io l’ascoltavo in silenzio e mai le dicevo quanto mancasse a me.
Dopo nemmeno un mese dal sogno, lei mi ha telefonato per dirmi che Leonardo sarebbe tornato. Mi ha detto:
“Rimarrà qui quattro giorni, mio zio l’ha spremuto bene, bene, ora vuole riposarsi per il ponte”.
Lui mi ha inviato un messaggio appena arrivato.
Io ho fatto quello che faccio sempre, e sono andata in palestra dopo aver studiato, cercavo di distrarmi ma non mi riusciva, mentre seguivo i movimenti dell’insegnante di aerobica, mi sono messa ad immaginare cose…
Mi vedevo che entravo in un negozio e me lo trovavo davanti, o che andando in motorino me lo vedevo fermo al semaforo con la sua moto, a fianco a me.
Ero così felice all’idea che fosse tornato, che guardandomi allo specchio ho notato che ero l’unica, che pur sudando come una bestia, aveva il sorriso stampato sul volto. Buffo, bellino!
La sera ho aperto il suo messaggio, mi sono data del tempo, ero offesa perché non mi aveva mai chiamato, aveva solo risposto a due miei messaggi in maniera telegrafica, così avevo smesso di scrivergli.
Mi sono seduta sul letto, ho chiuso la porta della mia camera e ho aperto il messaggio: “Ehi, come va? Sono tornato, domani faccio un giro in moto in Sabina, mi raggiungi lì per pranzo? Mi hanno detto di un’Osteria che vorrei provare, ti mando l’indirizzo”.
Senza pensarci un minuto, ho risposto: “sì”.
Poi mi sono balenate in testa tante domande:”nessun amico ha scritto sul gruppo di questo pranzo. Come mai?Ha invitato solo me?” Quella sera avrò dormito sì e no tre ore.
La mattina seguente ho sbagliato tre volte la strada, poi quando il navigatore satellitare ha suonato dopo una salita, mi è apparsa una casa rossa con scritto: “Osteria allegra”, e ho fatto un sospiro di sollievo. Ho spento il motore e mi sono messa ad aspettare, come una persona che deve calmarsi dopo un brutto spavento.
La moto di Leonardo era parcheggiata vicino alla facciata dell’edificio, il casco blu con il numero sette applicato sul dietro, era appeso al manubrio. Sarei entrata subito nel locale, se avessi visto qualcuno dei nostri amici.
Il cuore mi batteva troppo forte, dovevo calmarmi. Poi ho notato il suo volto alla finestra, gli ho mandato un messaggio:“ho appena parcheggiato”.
Lui mi ha visto, ma rimaneva seduto, e non prendeva il telefono, io volevo venisse da me. Che mi convincesse ad entrare. Poi ho deciso di scendere. Ho chiuso l’auto con il telecomando per avere qualcosa da fare, mentre camminavo sul vialetto, e mi tremavano le gambe. Guardavo in basso i miei stivali da cowboy appena comprati, mi sembravano eccessivi, gli avevo messi per darmi un tono. Quando ho alzato lo sguardo, ho sentito: “Ce l’hai fatta!”
Leonardo mi è venuto incontro, con il suo portamento eretto, il suo sorriso, la sua sicurezza orgogliosa, l’opposto delle mie spalle curve e dei miei dubbi.
“Ciao!” , ho detto arrossendo, con le mani nelle tasche posteriori: “scusami sono un disastro, mi sono persa anche con il navigatore! Bel posto qui!”
Lui ha detto: “Tranquilla!”, posandomi una mano sulla spalla. Stavo per abbracciarlo ma si è girato ed è entrato nell’Osteria.
Ci siamo seduti, io ero così imbarazzata che guardavo spesso fuori dalla finestra . Ho indicato un bellissimo albero, Leonardo mi ha detto il nome: “Si chiama Caprino bianco”, io ho sorriso, e mi sono sentita immediatamente stupida.
Ho pensato alla facilità con la quale ricordava i nomi delle cose: vini, film, piante. Lui mi ha detto: “strano nome, ma hai visto che bello?! Io vengo qui in moto proprio per il paesaggio, a Bologna invece non sono mai uscito dal centro, vado a piedi in ufficio, lavoro tantissimo, l’unica cosa che mi concedo è la palestra, dove fortunatamente c’è anche la piscina, è aperta fino alle 22.00. Mi piace andarci tardi quando è vuota. Il week end mi riposo, esco solo la sera, vado in qualche locale a sentire un po’ di musica, non ho portato nemmeno la macchina, e chissà se la porterò mai”.
Abbiamo ordinato il piatto della casa, che ho mangiato a fatica, perché avevo lo stomaco chiuso.
Arrivati al dolce, c’è stato un momento di silenzio, io per coprirlo ho parlato dell’università. Leonardo ha fatto svogliatamente la triennale di Giurisprudenza.
Non aveva voglia di sentire discorsi sugli esami, non gli è mai piaciuto studiare. Così mentre gli parlavo di Diritto internazionale, mi ha interrotto dicendomi: “resterò qui per un pò, ho bisogno di tempo, con mio zio è pesante, a Roma ho un colloquio in una buona società, vediamo…. Voglio anche risolvere una situazione che mi sta a cuore…”, poi ha allungato il braccio, ha portato alle labbra il calice di vino, e l’ha svuotato.
Io sono rimasta muta, le sue parole erano un colpo in testa, troppo forte, da lasciare storditi. Il proprietario è arrivato e ha consegnato a lui un tortino al cioccolato. Lo guardavo divorare quella delizia, e pensavo che non potevo essere io la persona che gli stava a cuore, se aveva tutto quell’appetito. Una piccola macchia di cacao gli è comparsa sul labbro, e guardandolo mi sembrava ancora più bello. Sarei voluta rimanere lì davanti a lui per sempre, solo per vederlo mangiare. Soffrivo già all’idea di dovermene separare.
Dopo siamo usciti a fare due passi. Volevo riprendesse il discorso lasciato in sospeso, ma lui raccontava di serie televisive, di calcio, la nostra passione comune, fino a quando non mi ha preso in giro per i miei stivali molto a punta.
Poi ha iniziato a piovere, siamo corsi in macchina. Lui si è girato verso di me, e mi ha guardato, le sue guance hanno preso colore, e con una gioia fanciullesca mi ha detto: “Mi sei mancata”.
Mi è girata la testa, era come se mi avessero catapultata dentro una di quelle giostre, che girano così forte tanto da simulare il movimento della centrifuga.
Gli ho risposto: “posso andare al bagno?” una frase assurda, la più insensata da dire in quel momento, quella che dicevo ai prof. per evitare di essere interrogata. Ah ah buffo
Lui mi ha sorriso, mostrandomi la sua dentatura perfetta, poi stringendomi a sé mi ha detto: “vedi, ti sono mancato anch’io!” e mi ha baciato.
Mentre sentivo le sue labbra sulle mie, ho pensato: “com’è possibile che stia succedendo questo? E se è un sogno per favore che il telefono esploda, che non suoni, che mi faccia ancora dormire!”