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Quo vadis, Domine? Da fuggiaschi a pellegrini, sulle orme di Cristo

Tra il II e il III miglio dell’Appia Antica, là dove da essa si dirama la via Ardeatina, sorge una piccola chiesa la cui titolazione ufficiale è S. Maria in palmis, più comunemente nota come Domine, quo vadis?

Il motto latino trasporta il visitatore intorno al 60 dopo Cristo, all’epoca dell’incendio neroniano, quando Pietro, la colonna della Chiesa dell’Orbis Christianus antiquus, si trovava a Roma. Sino ad allora Pietro aveva viaggiato in molti luoghi, soprattutto in Oriente, esortando i fratelli alla sequela di Cristo, risolvendo controversie, smascherando falsi seguaci, venendo arrestato, scrivendo almeno due lettere alle comunità dei credenti e, infine, giungendo nella grande metropoli dell’Impero dove, prima della sua predicazione, esisteva già un nutrito gruppo di cristiani.
Dunque, sin dal mandato del Maestro, era stato un viaggiatore consumato, che sembrerebbe aver accolto la sua missione. Ma che tipo di viaggiatore era Pietro, un pellegrino, un errante o un fuggiasco?

La risposta appare scontata, eppure è proprio a poca distanza dalle porte di Roma che Pietro stesso si rende conto della sua condizione.  Per capire meglio il senso del motto latino e l’importanza di questa tradizione, ci vengono incontro gli Atti di Pietro, uno scritto apocrifo del II secolo che aveva una certa diffusione nel mondo antico. È in questo libello, forse il canovaccio di un’opera teatrale, che si racconta di come Pietro, quando Nerone imputò ai cristiani lo scoppio dell’incendio e fece uccidere nel circo coloro che divennero i Protomartiri romani, insomma nel momento di massimo bisogno della comunità che gli era stata affidata, Pietro fugge. Gli Atti testimoniano come Pietro non abbia fatto altro che accogliere la decisione della comunità cristiana di Roma, che non voleva che venisse catturato; mostrano l’amore dei fratelli verso il proprio pastore. Ma di fatto Pietro abbandona la sua comunità, si fa convincere facilmente a sfuggire al suo dovere, dimostrando che, nel momento in cui si andava palesando la meta della sua vita, la ragione del suo errare, il senso della sua missione, profetizzato dalle parole dello stesso Gesù («In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Gv 21, 15-19), ecco che lui si sottrae. Sceglie la via larga, la regina delle vie, quella via Appia che era l’autostrada attraverso la quale il messaggio cristiano si sarebbe diffuso a tutte le genti, il viatico che conduceva Pietro alla testimonianza ultima.

È quello che accade anche a noi nella quotidianità. Crediamo di andare verso una direzione chiara, di essere sulla strada diritta, forti delle nostre sicurezze e convinzioni. Spesso, però, quando arriva il momento decisivo tendiamo a sottrarci dalle fatiche, dalle responsabilità, dalle decisioni, soprattutto quelle scomode, quelle che rischiano di gettare la giusta luce sul nostro percorso, quelle rischiano di far emergere il nostro cammino per quello che è: un errare senza meta, quando non è un fuggire del tutto.

È in questo momento che interviene Cristo, tanto nella vicenda di Pietro, quanto nella nostra vita. Il racconto apocrifo tramanda che durante la fuga, Pietro vede un uomo venirgli incontro. Non lo riconosce subito, ma scorge una luce nel suo volto. Quando si rende conto di essere alla presenza del Maestro, stupito nel vederlo lì, diretto nella direzione opposta alla sua, gli chiede: Domine, quo vadis? (Signore, dove vai?) Eo Romam iterum crucifigi. (Vado a Roma per farmi crocifiggere nuovamente).

Cristo rispetta le nostre scelte a tal punto da far sue le nostre responsabilità. In che occasione siamo disposti a farci carico delle fatiche degli altri, quando fuggiamo davanti alle nostre stesse fatiche?

Solo a quel punto Pietro si rende veramente conto di essere stato un errante per tutta la sua vita e di essere diventato un fuggiasco, a tal punto che il Maestro deve ripetere il sacrificio, ancora una volta, al suo posto. In quel breve istante Pietro, finalmente, si con-verte, volge i propri passi sull’Appia, cambia il proprio cuore, diventa pellegrino e in quella parentesi difficile della vita della prima Chiesa i frutti della sua conversione sono evidenti.

Il racconto apocrifo tramanda che, rientrato a Roma, battezzò un gran numero di persone e ancora  più uomini avrebbero convertito il proprio percorso a partire dalla sua testimonianza durante il martirio.

L’autore polacco Henryk Sienkiewicz riprende la domanda petrina per intitolare il suo romanzo storico, pubblicato in un unico volume nel 1896, romanzo che tratteggia l’episodio con grande efficacia.

 Ecco allora che la titolazione della chiesa a S. Maria in palmis, richiama proprio quelle orme che la tradizione vuole siano quelle del Signore. Un invito a volgere i nostri passi sulla strada del pellegrino, a convertire il nostro andare per poter terminare la corsa conservando la fede, specialmente in vista dell’Anno giubilare.

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