cultura

Alfredino e Ottavia ci insegnano qualcosa di eterno

Ci sono storie che rimangono scolpite nella memoria collettiva, ferite mai rimarginate che ancora oggi fanno parte di noi. La storia di Alfredino Rampi, il bambino di soli sei anni che cadde in un pozzo artesiano profondo 60 metri a Vermicino, tra Frascati e Roma, nel giugno del 1981, è una di quelle. È una ferita, ma anche un monito: un ricordo che ci chiede di non dimenticare mai il valore della vita e l’importanza della solidarietà.

Recentemente, il salvataggio di Ottavia Piana, la giovane speleologa che ha trascorso tre giorni intrappolata in una grotta, mi ha riportato alla mente quella tragedia. Per tre giorni i soccorritori provarono a salvare il piccolo Alfredino e milioni di persone seguirono in diretta televisiva i disperati tentativi fino al tragico epilogo. Sul posto si recò pure il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, con l’intento di esprimere la vicinanza fisica dello Stato a quella tragedia che era in corso, e con la speranza che si potesse trasformare in un lieto fine.

Pur nelle loro sostanziali differenze, entrambe le storie evocano quel senso di fragilità umana davanti alla natura e l’impotenza che ci colpisce quando ci troviamo a tifare per la vita altrui, sospesi tra la speranza e la paura. Come in quella notte di giugno del 1981, in cui tutta l’Italia sperò che il piccolo Alfredino potesse farcela, durante le ore di ansia per Ottavia tanti sono rimasti con il fiato sospeso, seguendo il dramma con il desiderio che i soccorsi riuscissero nel loro miracolo, ma tanti altri hanno fatto le più assurde polemiche.

Alfredino non è solo il simbolo di una tragedia: è anche il simbolo della forza che solo un bambino può avere, della purezza capace di unire milioni di persone. E quella notte non c’erano differenze, non c’era distanza: io avevo sei anni come Alfredino ed eravamo tutti lì, stretti intorno a quel pozzo, come se il nostro amore collettivo potesse bastare a salvarlo.

Non è andata come speravamo, e forse è per questo che oggi, ogni volta che vediamo la possibilità di un lieto fine, il ricordo di Alfredino si fa ancora più potente. La vicenda di Vermicino ci ha cambiati per sempre, ha portato alla nascita della Protezione Civile e ha insegnato a un’intera nazione a non voltarsi mai dall’altra parte davanti a chi è in pericolo.

In un certo senso, Alfredino continua a vivere nelle vite che siamo riusciti a salvare dopo di lui. Il coraggio, la perseveranza e la compassione che abbiamo visto nei soccorritori di Ottavia ci ricordano che la solidarietà non è solo un valore: è ciò che ci tiene insieme, che ci rende umani. Per questo continuo a non capire le polemiche sul salvataggio della speleologa. Temo che se la tragedia di Alfredino fosse successa oggi, qualcuno avrebbe avuto il coraggio di dire “ma lui perché giocava lì?, “e ora chi li paga i soccorsi?”

Non voglio pensare al fatto che forse l’Italia sia peggiorata, voglio solo credere che Alfredino e Ottavia, pur in contesti così distanti, ci insegnano qualcosa di eterno: in quei momenti di buio, c’è sempre una luce, ed è il legame invisibile che ci unisce tutti.

#sebastianoalicata

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