Cristo, primo Pellegrino, ci insegna come vivere il prossimo Giubileo
Nella parrocchia di San Lino Papa un ciclo di incontri con la speranza di vivere al meglio il Giubileo ordinario 2025
Mentre Roma e il mondo si apprestano a celebrare il giubileo ordinario dell’anno 2025, i cittadini romani si chiedono se il giubileo sia solamente un evento consumistico, un celebrazione che reca solo disagi con l’apertura di tanti cantieri di cui ancora non si vede una fine, o un’occasione per ritrovare il senso del nostro camminare.
Deviazioni dei percorsi, tanto automobilistici quanto pedonali, intasamento delle vie, presenza costante di un flusso crescente di turisti, segnano le tappe precedono l’arrivo di una fiumana di pellegrini da ogni parte del globo, tutti diretti a Roma per attraversare la Porta Santa che, nella notte del 24 dicembre, verrà aperta dal Santo Padre Papa Francesco.
Ecco che, girando per la città, frequentando i mezzi pubblici e parlando con la gente si assiste all’esternazione di un sentimento di disagio nei confronti di un evento che, invece, affonda le sue radici nella spiritualità più profonda del Cristianesimo. Infatti, sebbene il primo giubileo ordinario sia stato emanato nel 1300 da Papa Bonifacio VIII con la bolla Antiquorum habet fida relatio, le radici del pellegrinaggio devozionale ai luoghi santi sono radicate nel messaggio evangelico.
Proprio su questo tema ha riflettuto, domenica 1 dicembre u.s., Monsignor Pasquale Iacobone, Presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra e Sacerdos della Pontificia Academia Cultorum Martyrum, durante la prima conversazione di un ciclo di incontri organizzati dalla commissione cultura della parrocchia di San Lino Papa, relativamente al senso del pellegrinaggio nella cristianità antica.
L’occasione è stata particolarmente fausta per la coincidenza dell’evento con la prima domenica d’Avvento, il tempo ideale per mettersi in cammino. Con la grande chiarezza e capacità comunicativa, Monsignor Pasquale Iacobone ha efficacemente tratteggiato la tematica, evidenziando come il pellegrinaggio cristiano nasca a partire da Cristo stesso. Pellegrino nel mondo e nella storia, Egli viene ad indirizzarci verso il sentiero della salvezza, a ricordarci che sulle sue orme possiamo affrontare “la buona battaglia e completare la corsa” (2 Timoteo 4, 7-9) con una forza che è quella dello Spirito. Non è un caso che nelle raffigurazioni medievali della scena di Emmaus, per indicare un’altra situazione di pellegrinaggio, Cristo è spesso raffigurato con il mantello da viaggio.
Gli Apostoli stessi, poi, diventano pellegrini nel momento in cui, accolto il mandato di Cristo, sono chiamati a diffondere il Vangelo in tutti gli angoli del mondo. Ecco, dunque, che, sin dai tempi antichi, nasce tra i cristiani la necessità di ‘vedere per credere’, di calcare i luoghi in cui si svolsero le vicende evangeliche. Nasce il pellegrinaggio ai Loca Sancta della Palestina storica, dove venivano frequentati il Santo Sepolcro, la grotta della Natività, etc.
Con la diffusione del messaggio evangelico molti altri si fanno testimoni della Parola fino al dono ultimo della vita (martiri). Nella comunità cristiana di Roma, una delle più antiche dell’Orbis Christianus antiquus, già al tempo di Nerone, intorno agli anni 60 del I secolo, testimoniarono la fede i Protomartiri romani e, poco dopo, anche due stranieri della città: Pietro e Paolo.
Il sacrificio dei fondatori della Chiesa di Roma, colonne della Chiesa universale, fece sì che le loro sepolture, rispettivamente sulla via Cornelia e sull’Ostiense, sin da epoca antica fossero meta di numerosi pellegrini. La memoria di entrambi viene poi ricordata in un luogo al III miglio della via Appia, la cosiddetta triclia presso il cimitero ad catacumbas, noto come San Sebastiano. Qui, alla metà del III secolo, in un momento condizionato dalla persecuzione di Valeriano, numerosi pellegrini si recavano presso una piccola struttura per la celebrazione dei pasti funebri, lasciando traccia della propria presenza con tante invocazioni rivolte ai Principes Apostolorum. Leggiamo diverse suppliche come: “Petre, Paule perite pro Victore” (O Pietro, O Paolo, intercedete per Vittore); o ancora: “ricordatevi del tale…”, “abbiate in mente me e i miei cari”. Si tratta di testimonianze del passaggio di viaggiatori da tutto il mondo antico che, giunti a Roma per i più svariati motivi, non dimenticarono di recarsi in visita alle tombe di coloro che ritenevano essere i mediatori ideali presso Dio. Ecco che, tra gli anni 30 e gli anni 80 del III secolo, il cimitero di Callisto, il primo cimitero comunitario di proprietà della chiesa di Roma, diviene il luogo di sepoltura di molti vescovi dell’Urbe, meta di pellegrinaggio di un gran numero di fratelli cristiani che visitano le tombe dei vescovi di Roma e particolarmente quella di Sisto II martire nel 258, durante la persecuzione di Valeriano.
Il Papa infatti viene trovato a celebrare una liturgia proprio nella campagna romana sopra il cimitero cristiano, a riprova del fatto che le catacombe non erano i luoghi in cui i cristiani andavano a nascondersi, dato che erano aree sepolcrali ben note alle autorità romane.
Un’altra tomba venerata è quella di Santa Cecilia, vergine e martire, posta proprio a ridosso della cripta dei papi, nel cuore dell’area I del cimitero di Callisto. Ancora, San Sebastiano, poco lontano da Callisto, sempre sull’Appia antica; i diaconi di Sisto II, Felicissimo ed Agapito, nella catacomba di Pretestato; San Lorenzo, anche lui diacono di Sisto II, nel cimitero di Ciriaca sulla via Tiburtina, e Ippolito, poco lontano; Marcellino e Pietro, sulla via Labicana; la piccola Agnese, sulla Nomentana e molti altri.
Tutte queste tombe venerate, tra il 366 e il 384, vengono monumentalizzate da papa Damaso, il cultore dei martiri, che crea e potenzia gli itineraria ad sanctos, dei percorsi privilegiati proprio per facilitare il pellegrinaggio devozionale. Ecco che in tutto il suburbio della città di Roma si crea quello che viene definito un “raccordo anulare della santità” – usando le parole di Mons. Iacobone – con le tombe dei martiri più venerati che diventano meta di continue frequentazioni da parte di pellegrini provenienti finanche dalle lontane regioni del Baltico. A riprova della loro presenza nelle catacombe si trovano graffiti realizzati in vari alfabeti tra cui quello runico, tipico dei popoli scandinavi.
Bonifacio VIII, dunque, nel XIV secolo, non fa altro che rafforzare, ravvivare questo pellegrinaggio ai luoghi santi con la creazione dei giubilei. Presso i luoghi venerati i pellegrini di ogni tempo antichi, come moderni e contemporanei, si recano per “bere alle sorgenti” (Paolo VI, discorso alla vigilia della sessione terminale del Concilio Vaticano II) della fede, per chiedere per sé e per i propri cari pace, sicurezza di vita e salute; per esser testimoni di quella speranza che promana dal messaggio evangelico e da Cristo stesso; quella Speranza che, come dice la bolla di indizione del Giubileo ordinario del 2025, non delude (Rm 5,5) se riconosciamo in Cristo il ‘centro di gravità permanente’ delle nostre vite.
Domenico Benoci – Professore Incaricato di Archeologia Cristiana presso Ateneo Pontificio Regina Apostolorum