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SLA significa Santa Lucia Aiutaci

Esiste la malattia, quella seria. Salvatore ne sa qualcosa. Da quando una domenica mattina del 2019 inciampa sulle scale. Cade. E di nuovo qualche giorno dopo per strada. È il Parkinson!, pensa. Ce l’avevano suo padre e suo zio, ora toccherà a lui.

Invece no.

Nel 2020 la diagnosi esatta gli entra in casa: SLA.

Insieme a lei arrivano i primi ausili medicali, e la vita che cambia.

Ma Salvatore non è da solo eh. C’è Delia, al suo fianco. L’ha sposato nel 2016 e ha fatto suo il motto “ubi tu ibi ego“. Dove sei tu io sarò.

Pertanto, Delia non molla Salvo nemmeno di un centimetro, nemmeno per scherzo. Mano nella mano a vedersi capovolgere insieme la vita. Consapevoli però che il cielo non si sbaglia, e se fa nuove tutte le cose è per un bene più grande. E bisogna tenersi stretti nell’amore, mentre inizia la seconda parte della loro esistenza. Fatta di un quotidiano che il mondo lì fuori non conosce: tracheostomia, PEG, il puntatore a intercettare il movimento degli occhi di Salvatore traducendolo in parole grazie a un computer.

Ha 43 anni Salvo, quando nel 2024 arriva la crisi respiratoria peggiore, il ricovero, i pre-arresti cardiaci. I medici lo intubano, coma farmacologico, preparano la moglie Delia, la madre Antonia.

Di speranze la scienza ne ha poche.

È il 20 gennaio, festa liturgica di San Sebastiano, a cui Salvo è legatissimo da sempre. In quelle ore agli occhi esterni Salvo è spacciato, invece lui sta facendo un sacco di cose. Mentre è in coma sente chiaramente una voce forte che lo esorta a pregare “perché se non preghi muori!”. E lui, incosciente fuori, dentro prega di brutto. Invoca i santi in cui, da siracusano qual è, ha grande devozione: Sebastiano, Agata, Lucia. Li prega in loop, incessantemente. Finché gli compare una figura. Un don, e non uno qualunque: Giovanni Bosco. Che gli sorride.

Salvo viene risvegliato dal coma il 27 gennaio. È vivo.

Esce dalla rianimazione il 31gennaio, festa di San Giovanni Bosco

Oggi chiede ai malati di non perdere la speranza.

Di avere fede.

“Sono una persona normale che cerca di vivere la malattia come dono”, mi dice.

Grazie Salvo.

Grazie Delia.

Il dono vero siete voi.

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