La chiamata – un racconto di Benedetta Bindi
“Bisogna aver vissuto un po’ per comprendere che tutto quello che si insegue in questa vita si ottiene solo rischiando a volte quello che più si ama.”André Gide
Mi chiamo Giacomo e sono un medico.
Il giorno esatto nel quale ho deciso che sarebbe stata la mia professione, era il 5-8- 2002. Ero in vacanza con la mia famiglia, come ogni anno nella grande casa di mia nonna. È una bella villa bianca, a dieci minuti dal mare e altrettanti dalla pineta. Io e i miei amici dopo pranzo giocavamo a nascondino nel mio giardino. Primo perché era troppo caldo per andare in spiaggia, secondo perché in quell’orario i nostri genitori andavano a riposare e non ci lasciavano da soli al mare. Lisa, l’unica femmina del gruppo formato da me, lei, Marco e Eugenio, per nascondersi è salita su un albero. Io la cercavo per poter dire: “tana!”, quando ho sentito il suo urlo e l’ho vista precipitare a terra come facevano di solito le pigne. Urlava e piangeva senza sosta, quando i miei genitori sono accorsi in giardino. Subito ci siamo precipitati al pronto soccorso. Seduto in auto accanto a lei, ho profondamente desiderato essere un medico. Avrei voluto capire subito cosa fare, invece di tenerle semplicemente la mano.
Anni dopo finito il liceo, non c’è stato alcun dubbio sulla scelta dell’università che avrei voluto fare. Ho studiato moltissimo per il test di ammissione a medicina, anche se i miei amici, compresi i miei genitori, mi dicevano che era difficilissimo entrare. Non ero bravo al liceo, studiavo a fatica, ed ero stato rimandato per due anni consecutivi, ma un conto è fare qualcosa che non ti piace, e un altro è studiare per un fine che ti anima. Infatti sono riuscito ad entrare. Ora ho trenta tre anni, sono un neurologo con contratti a termine, e davanti a me un mese fa si è aperto un bivio: partire per un lavoro in Minnesota al Mayo Clinic – Rochester (struttura statunitense considerata tra le migliori al mondo in neurologia) o rimanere in Italia? Il mio problema è stato che con una mamma con i primi segni di Alzheimer, tremavo all’idea di partire e trovarla al mio rientro peggiorata, per di più sono figlio unico e lasciare i miei anziani da soli, era difficile solo a pensarlo.
Preso da dubbi che mi toglievano il sonno, ne ho parlato con una persona che è come un secondo padre per me,il mio ex-professore di neurochirurgia. È parecchio religoso, mi ha detto:“Sai Marco, Gesù crocifisso non è affatto il simbolo del sacrificio, ma dell’abbandono all’obbedienza della Legge del desiderio.
Lui non si sacrifica per avere un risarcimento, non lo fa per altri fini, ma come risposta soggettiva a quella legge che enuncia nel discorso della montagna. Donarsi senza risparmio di se stessi per noi tutti. Io credo che la legge che anima la tua vita è quella di fare il medico, le tue ricerche ti hanno portato a un successo nemmeno sognato. Ti hanno chiamato da uno dei migliori ospedali al mondo. Perché rinunciarvi? Si tratta di dire sì, a quel che si è. Il “desiderio” è la potenzialità dell’individuo, la capacità di lavoro, di slancio creativo, di amare, apertura. È potenzialità dell’individuo, non rincorsa a un godimento (oggetti, idoli, denaro, marchi da esibire) privo di soddisfazione.
La sera leggo delle pagine del vangelo prima di addormentarmi, ti ho preso una bella edizione da portare in America con te. Ne avrai bisogno”.
Io ho sorriso, poi ho scartato il pacchetto mentre mi tremavano le mani, sapevo che le parole del professore corrispondevano alla più assoluta verità, dovevo partire. Il professor Gattuso ha ripreso a parlare mente osservava i miei occhi che si erano fatti lucidi: “Marco tu sei tra i migliori allievi che ho avuto, rispondi alla chiamata! Il Signore ci dona ciò che ritiene appropriato, ci dà risorse e responsabilità adatte alla nostra capacità!
Il Signore non ci dà compiti da svolgere che noi non possiamo adempiere, non pone su di noi dei pesi che non possiamo portare”.
Le sue parole mi hanno convinto.
Oggi mia madre mi ha chiesto se andavo in Florida, io le ho ripetuto per la ventesima volta che vado in Minnesota. Mio padre ci ha guardati e mi ha sorriso. Mentre abbracciavo e annusavo il profumo della donna che mi ha messo la mondo, ho pensato che farò ricerca pensando a lei. Chissà se riuscirò a trovare qualcosa che possa fermare la sua malattia.
Ho preparato le valigie, prima di andare a letto voglio aprire il vangelo, non lo faccio più dai tempi della cresima. Per tutto quello che ho visto in ospedale, spesso ho pensato che sopra di noi non ci fosse nessun Dio, adesso invece sto mettendo tutto in discussione. Per anni ho sperato di fare ricerca, desideravo dare di più di quel che facevo, e qualcuno mi ha ascoltato.