famigliagli altri siamo noi

Una storia ordinaria di inclusione

Stamattina alle 8punto27 sono al super, all’ora in cui ci vanno i papanonni (e io).

Mentre disquisisco di stagionatura suina con l’addetta al banco, arriva un vociare più allegro del previsto dal reparto panetteria.

C’è una giovane donna, il volto da bambina.

Ride, le commesse chiedono come sta, se ha fatto la brava dall’ultima volta, è finita in ospedale per aver mangiato i dolci.

“Lo zucchero ti fa male! mi raccomando non ci riprovare più eh” la rimproverano, affettuosamente.

Lei risponde a monosillabi.

È una donna tra migliaia.

Con una disabilità importante a comprometterne la capacità di fare ragionamenti complessi.

Ma sa ridere di brutto.

In qualche modo la sua vitalità contagia perché ci guardiamo negli occhi, noi altri gente normoquotata affaccendata nelle cose serie della vita, e sorridiamo.

La giovane piglia e parte a farsi il giro del negozio per salutare i dipendenti, uno per uno.

È di casa.

La incrocio più volte che si ferma a uno scaffale e osserva incantata, saggia la consistenza di una bottiglia, di una confezione di pasta, poi riparte a salutare.

La chiamano tutti per nome, a lei e alla madre anziana appoggiata al carrello, che la segue lenta.

E sorride pure lei, di gratitudine.

L’inclusione è questa cosa qua, credo.

Accogliere la presenza di una persona disabile, diversa dai nostri parametri di normalità, come una vera risorsa collettiva.

Da condividere amorevolmente con chi quella disabilità la vive ogni giorno, la accudisce, la porta nel cuore. Spesso in una riserbatezza eroica.

Perciò l’altra sera mi sono accorta che è ricominciato don Matteo (sì da un mese, ma io l’ho capito adesso, sono state settimane difficili) e che quest’anno nel cast c’è Francesco.

Francesco interpreta Bart, ha 10 anni, gli occhiali. Oltre a una spiccata capacità attoriale e la sindrome di Down.

E quando c’è lui sulla scena, gli occhi mi sorridono.

Sono felicissima della sua presenza.

Della sua vita.

La disabilità fa paura, come la malattia che pone limiti e l’ignoto.

Ma è il manifesto a grandezza naturale di una verità bellissima: siamo nati per amare e essere amati (cit. Chiara Corbella).

E ricordarlo ci fa stare tanto bene.

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